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I VOLTI DELLA MENZOGNAI VOLTI DELLA MENSOGNAI VOLTI DELLA MENSOGNAI VOLTI DELLA MENSOGNAI VOLTI DELLA MENSOGNA
Tipologia: Trabalhos
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Presentazione di Pio Enrico Ricci Bitti
Presentazione Da quando circa due decenni addietro alcuni ricercatori, fra cui spicca Paul Ekman, iniziarono a dedicarsi con spirito pionieristico allo studio del comportamento non verbale ed alle sue funzioni comunicative, nella convinzione che l'interazione umana ed i suoi effetti non dipendessero soltanto dagli scambi verbali, abbiamo assistito ad un rapido e significa- tivo sviluppo delle conoscenze sulla comunicazione umana. Oggi siamo in grado di valutare il tipo di influenza che il nostro comportamento non verbale determina sugli altri e di giudicare la com- petenza delle persone ad inviare segnali non verbali o ad interpretarli; sappiamo che l'informazione fornita dalle parole in certi casi viene contraddetta e smentita dai segnali non verbali che la accompagnano e che quando non ci è possibile ricorrere alle parole possiamo inviare informazioni attraverso segnali non verbali. La comunicazione umana risulta dall'interdipendenza di diversi sistemi comunicativi: i processi di interazione si fondano infatti sul funzionamento integrato e simultaneo degli elementi verbali, intenzionali, paralinguistici e cinesici prodotti dai soggetti che comunicano. La comunicazione non verbale non ha ricevuto in passato l'attenzione dovuta per diverse ragioni: innanzitutto perché la prevalenza di un modello fortemente " razionalistico" dell'uomo ha messo in rilievo soprattutto gli aspetti verbali dello scambio comunicativo; inoltre occorre ricordare che gli aspetti non verbali del comportamento sono così connaturati nelle interazioni della vita quotidiana che risulta difficile essere pienamente consapevoli della loro funzione e dei loro significati. Eppure occorre riconoscere, per fare qualche esempio, che, quando ci facciamo un'idea (un'impressione) su una persona, utilizziamo essenzial- mente informazioni che ci provengono dal suo comportamento non verbale e che per riconoscere le emozioni del nostro interlocutore o i sentimenti che egli prova nei nostri confronti (simpatia, ostilità, disponi-
difficile controllare adeguatamente e simultaneamente due o più sistemi comunicativi. Tali problemi sono particolarmente evidenti quando la comunicazio- ne riguarda le emozioni e gli atteggiamenti interpersonali, che, come è noto, vengono manifestati soprattutto attraverso i segnali non verbali. Proprio Ekman ha fornito un contributo fondamentale alla compren- sione dei meccanismi di regolazione e controllo dell'espressione delle emozioni quando, nell'ambito della sua teoria "neuroculturale", ha formulato e proposto il concetto di "regole di esibizione". Una volta suscitata un'emozione, viene attivato un programma di espressione mimi- ca sulla base di istruzioni codificate a livello neurale che modulano le risposte a livello del comportamento osservabile; con questo programma espressivo interagiscono alcune regole, definite appunto di "esibizione", culturalmente determinate e quindi apprese: intensificazione, attenuazio- ne, neutralizzazione e, soprattutto, dissimulazione o mascheramento. Queste regole rappresentano altrettante strategie adottate dall'indivi- duo per far corrispondere l'esperienza interna e la sua manifestazione esterna alle specifiche norme che governano le situazioni sociali in cui si è coinvolti. Le rappresentazioni sociali inerenti alle modalità appropriate di spe- rimentare le emozioni in particolari situazioni sociali e le regole che ne governano le manifestazioni fanno parte di un sistema generale di rego- lazione dell'attivazione emozionale che viene appreso nel corso del processo di socializzazione. La regolazione dell'espressione emotiva (che in certi casi può anche produrre dissimulazione) può essere, ad esempio, richiesta da esigenze di ruolo o da regole situazionali: è pertanto compren- sibile l'attenzione per i processi di apprendimento sociale attraverso i quali vengono acquisite queste "capacità regolatrici", che permettono di controllare la coerenza o la corrispondenza fra stato interno, espressione e caratteristiche della situazione. Il rapporto fra emozioni e dissimulazione o menzogna va considerato tuttavia anche ad altri livelli; non esiste infatti soltanto la possibilità di mascherare o nascondere le proprie emozioni: esiste anche il fatto che l'atto stesso di mentire o ingannare produce un'attivazione emozionale legata forse alla paura di essere "scoperti", che, se non ben controllata, può tradire l'intenzione dell'emittente. Proprio sulla base di questo rilievo ha trovato ampia applicazione (a dir il vero molto discutibile e comunque al centro di un acceso dibattito fra gli addetti ai lavori) l'uso della registrazione degli indici fisiologici dell'attivazione emozionale (ritmo cardiaco, ritmo respiratorio, pressione arteriosa, conduttività e VII
temperatura cutanea...) per l'accertamento della "verità" in ambito investigativo. A sottolineare ulteriormente questo rapporto privilegiato fra emozio- ni e atto menzognero, vanno infine ricordati i sentimenti suscitati dagli effetti dell'atto stesso: la vergogna di essere scoperti, il senso di colpa per aver compiuto un atto disdicevole, la soddisfazione per essere riusciti nel proprio intento... Pio ENRICO RICCI BITTI
Quando sembra che la situazione sia esattamente quella che appare, l'alternativa che segue immediatamente in ordine di probabilità è che la situazione sia del tutto contraffatta; quando la contraffazione sembra estremamente evidente, la possibilità più probabile subito dopo questa è che non ci sia nulla di falso. (Erving Goffman, Strategic Interaction) Il quadro di riferimento da tener presente non è la morale, ma la sopravvivenza. Ad ogni livello, dal mimetismo elementare alla visione poetica, la capacità linguistica di velare, disinformare, lasciare ambiguo, ipotizzare e inventare è indispensabile all'equilibrio della coscienza umana e allo sviluppo dell'uomo nella società. (George Steiner, After Babel) Se la menzogna, come la verità, avesse una sola faccia, saremmo in condizioni migliori. Perchè prenderemmo per certo l'opposto di ciò che il mentitore ha detto. Ma l'inverso della verità ha centomila forme e un campo illimitato. (Montaigne, Essais) RINGRAZIAMENTI - Sono grato alla Divisione di ricerca clinica del National Institute of Mental Health per il sostegno accordato alla mia ricerca sulla comunicazione non verbale dal 1963 al 1981. Il programma di contributi straordinari per la ricerca (Rese- arch Scientist Award) dello stesso istituto ha sovvenzionato lo sviluppo delle mie ri- cerche negli ultimi vent'anni e anche la stesura di questo libro. Desidero ringraziare la Fondazione Guggenheim e la Fondazione MacArthur per i contributi offerti ad alcune delle ricerche descritte nei Capp. 4 e 5. Wallace V. Friesen, con cui ho lavorato per oltre vent'anni, è responsabile quanto me dei risultati citati in quei capitoli: molte delle idee sviluppate in questo libro sono nate nel corso del nostro lungo dialo- go. Ringrazio Silvan S. Tomkins, amico, collega e insegnante, di avermi incoraggiato a scrivere questo libro e delle osservazioni e dei suggerimenti che mi ha dato sul ma- noscritto. Mi sono giovato delle critiche di vari amici che hanno letto il mio lavoro ciascuno dal suo punto di vista: Robert Blau, medico; Stanley Caspar, penalista; Jo Carson, romanziere; Ross Mullaney, ex-agente dell'FBI; Robert Pickus, attivista po- litico; Robert Ornstein, psicologo; Bill Williams, consulente di organizzazione azien- dale. Mia moglie Mary Ann Mason, la mia prima lettrice, ha saputo essere paziente e costruttivamente critica. Molte delle idee presenti in queste pagine le ho discusse con Erving Goffman, che si interessava alla menzogna da una prospettiva assai diversa e sapeva apprezzare il contrasto dialettico fra i nostri punti di vista.
Introduzione È il 15 settembre 1938 e sta per cominciare un inganno dei più infami. Adolf Hitler, cancelliere del Reich, e Neville Chamberlain, primo ministro inglese, si incontrano per la prima volta. Il mondo li osserva, consapevole che questa può essere l'ultima speranza di evitare un'al- tra guerra mondiale (appena sei mesi prima le truppe di Hitler erano entrate in Austria, annettendola alla Germania, mentre Inghilterra e Francia protestavano senza intervenire). Il 12 settembre, tre giorni prima dell'incontro con Chamberlain, Hitler avanza la pretesa di an- nettere parte della Cecoslovacchia e fomenta la rivolta nel paese; ha già segretamente mobilitato le truppe per l'invasione, ma il suo esercito non sarà pronto fino alla fine di settembre. Se riesce a impedire ancora per qualche settimana una contromos- sa cecoslovacca, Hitler avrà il vantaggio di un attacco di sorpresa. Cercando di guadagnare tempo, Hitler nasconde a Chamberlain i suoi piani di guerra, dando la sua parola che la pace può essere salvata se i cechi accettano le sue richieste. Chamberlain cade nel tranello e cerca di convincere il governo cecoslovacco che esiste ancora una possibilità di negoziato. Dopo l'incontro con Hitler, scrive in una let- tera alla sorella: «[...] malgrado la durezza e la crudeltà che mi è sem- brato di vedere nel suo viso, ho avuto l'impressione che davanti a me ci fosse un uomo di cui ci si poteva fidare, una volta che avesse dato la sua parola».^1
lavoro e Mary si sentiva inutile. Quando fu ricoverata, non era più in grado di mandare avanti la casa, soffriva d'insonnia e passava molto tempo seduta in un angolo a piangere. Nelle prime tre settimane di ospedale fu trattata con psicofarmaci e terapia di gruppo. Sembrava rispondere molto bene: i suoi modi erano più vivaci e non parlava più di suicidio. In uno dei colloqui filmati, Mary spiegava al medico di sentirsi molto meglio e chiedeva il permesso di trascorrere a casa il fine settimana. Il giorno dopo, prima di ricevere l'autorizzazione, confessò che aveva mentito per ottenerla e che voleva ancora assolu- tamente suicidarsi. Il trattamento in ospedale proseguì per altri tre mesi e alle dimissioni Mary era migliorata realmente, nonostante una ricaduta l'anno dopo; per molti anni in seguito non ci sono stati altri ricoveri e Mary apparentemente è stata bene. Il filmato del colloquio ha tratto in inganno la maggior parte dei miei allievi e anche molti psichiatri e psicologi esperti cui l'ho mostra- to.^4 L'abbiamo analizzato per centinaia di ore, ripassandolo continua- mente, ispezionando ogni gesto ed espressione al rallentatore per sco- prire eventuali indizi di menzogna. In una pausa brevissima, prima di rispondere alla domanda del medico circa i suoi progetti futuri, ab- biamo potuto vedere, passando il filmato a velocità ridotta, un'e- spressione rapidissima di disperazione, tanto rapida che ci era sfuggita le prime volte che avevamo esaminato la scena. Una volta compreso che i sentimenti nascosti potevano rendersi visibili in queste brevissi- me microespressioni, siamo andati alla loro ricerca e ne abbiamo tro- vate molte altre, tipicamente coperte quasi subito da un sorriso. Ab- biamo trovato anche un microgesto. Mentre diceva al medico che se la cavava bene coi suoi problemi, Mary presentava talvolta un frammento di scrollata di spalle, non il gesto intero, soltanto una parte: un piccolo movimento rotatorio della mano, come per scrollare qualcosa, oppure una spalla che si alzava per un attimo. Credevamo di vedere altri indizi non verbali di bugia, ma non po- tevamo sapere con certezza se li avevamo davvero scoperti o solo im- maginati. Un comportamento del tutto innocente appare sospetto quando sappiamo che la persona ha mentito. Solo indici oggettivi,
non influenzati dalla conoscenza della sincerità o falsità delle affer- mazioni, potevano confermare le nostre osservazioni. E per essere si- curi che i segni rivelatori di menzogna non fossero squisitamente in- dividuali dovevamo studiare molti soggetti. Sarebbe più semplice scoprire l'inganno se i comportamenti che lo tradiscono fossero gli stessi da un individuo all'altro, ma c'è anche la possibilità che gli indizi siano peculiari di ciascuno. Abbiamo allora ideato un esperimento costruito sul modello della bugia di Mary, in modo che i soggetti fossero fortemente motivati a celare intense emozioni negative nel momento stesso in cui mentiva- no. Mentre assistevano al filmato di un intervento chirurgico, pieno di scene impressionanti e dettagli sanguinosi, i soggetti dovevano mascherare le loro autentiche sensazioni di disagio e repulsione e convincere l'intervistatore (che non vedeva il filmato) che quelle che passavano sullo schermo erano piacevoli immagini di fiori (i risultati della ricerca sono descritti nei Capp. 4 e 5). Era passato appena un anno e noi eravamo ancora alle fasi iniziali della sperimentazione, quando persone interessate a vario titolo a smascherare le bugie hanno cominciato a cercarmi. Forse che i miei dati o i miei metodi potevano essere usati per mettere le mani sui cit- tadini americani sospettati di spionaggio? Nel corso degli anni, via via che le nostre scoperte sugli indizi comportamentali di contraffazione nel colloquio medico-paziente comparivano sulle riviste scientifiche, le richieste crescevano. Per esempio, che ne pensavo della possibilità di addestrare le guardie del corpo di esponenti governativi, in modo che potessero riconoscere dall'andatura o dai gesti un terrorista pronto all'attentato? Potevamo indicare all'FBi come insegnare agli agenti a individuare le menzogne di un indiziato durante gli interrogatori? A quel punto non mi ha più sorpreso sentirmi chiedere se potevo aiutare i negoziatori a scoprire le bugie della controparte durante gli incontri ai massimi livelli, oppure se ero in grado di decidere, dalle foto di Patricia Hearst mentre parte- cipava a una rapina in banca, se la sua partecipazione fosse volontaria o sotto costrizione. Negli ultimi cinque anni l'interesse ha varcato i confini degli Stati Uniti: sono stato avvicinato da rappresentanti di due paesi amici e, durante un giro di conferenze in Unione Sovietica, da funzionari che si sono presentati come inviati di un istituto di ricerca «interessato ai metodi d'interrogatorio».
in cui gli inglesi (senza consultare Francia e Italia) modificavano taci- tamente il trattato di Versailles; e la paura di una corsa al riarmo im- pediva a Londra di vedere e riconoscere le violazioni del nuovo accor- do».^5 In molti casi la vittima sorvola sugli errori del mentitore, leggendo nel modo più ottimistico i suoi comportamenti ambigui, facendosi suo complice per evitare le terribili conseguenze della scoperta. Chiu- dendo gli occhi davanti ai segni dell'infedeltà della moglie, il marito può se non altro rimandare l'umiliazione di scoprirsi tradito e l'even- tualità del divorzio. Anche se dentro di sé sa benissimo che lo tradi- sce, può collaborare a non smascherare le sue bugie, per non doverlo riconoscere anche davanti a lei o per evitare una resa dei conti. Finché non dice nulla può ancora sperare di averla mal giudicata, può ancora illudersi che non abbia un amante. Non tutte le vittime sono così volenterose. A volte non c'è nulla da guadagnare ad ignorare una bugia o collaborare a tenerla in piedi. Per esempio, il poliziotto che conduce l'interrogatorio ha soltanto da per- derci se si lascia prendere nella rete e la stesso vale per il funzionario di banca addetto all'ufficio prestiti. A volte, invece, la vittima ha qual- cosa da perdere e insieme qualcosa da guadagnare sia che si lasci trarre in inganno, sia che sveli la frode; ma i due piatti della bilancia non sempre sono equilibrati. Prendiamo i due esempi di Chamberlain e dello psichiatra. Per quest'ultimo, credere che Mary fosse davvero migliorata poteva rappresentare una piccola soddisfazione professio- nale, ma aveva molto di più da perdere se si lasciava imbrogliare. Nel caso di Chamberlain, se non c'era modo di fermare l'aggressione di Hitler, la sua carriera sarebbe finita e la guerra che pensava di poter impedire sarebbe scoppiata. A prescindere dai motivi di Chamberlain per credere alle parole di Hitler, l'inganno aveva buone probabilità di riuscita perché non c'erano da mascherare forti emozioni. Nella maggior parte dei casi le bugie fanno fiasco perché trapela qualche segno di un'emozione na- scosta: quanto più intense e varie sono le emozioni che entrano in gio- co, tanto più probabile è che la menzogna si tradisca involontaria- mente. Hitler, certamente, non doveva sentirsi in colpa nel mentire al
rappresentante del paese che aveva imposto alla Germania un'umi- liante sconfitta militare. Invece Mary per riuscire nell'inganno doveva nascondere forti emozioni, reprimere la disperazione e il tormento che la spingevano al suicidio. Non solo, ma aveva tutte le ragioni di sentirsi in colpa nel mentire così ai suoi medici, verso i quali provava simpatia e ammirazione, sapendo che volevano soltanto aiutarla. Per tutte queste ragioni ed altre ancora è generalmente molto più facile cogliere indizi comportamentali di menzogna in un paziente con tendenze suicide o nel coniuge adultero che in un diplomatico o in un agente che fa il doppio gioco. Ma non tutti i diplomatici, i crimi- nali o gli agenti dei servizi sono mentitori perfetti e a volte errori ne commettono. Le mie analisi permettono di formulare una stima delle probabilità di riuscire a cogliere indizi rivelatori, oppure di essere in- gannati. Il messaggio che posso dare a chi è interessato a scoprire le menzogne in sede politica o giudiziaria è di non ignorare gli indizi comportamentali ma di usare maggior cautela, nella consapevolezza dei limiti e delle opportunità che si pongono. È vero che esiste qualche prova dell'esistenza di segni comporta- mentali rivelatori della bugia, ma non sono ancora prove solide. Le analisi che ho condotto per capire come e perché le persone mentono e quando le bugie falliscono corrispondono ai dati che si ricavano dagli esperimenti sulla menzogna e dalla tradizione storica e narrati- va. Ma non c'è stato ancora il tempo di vedere se queste teorie reggo- no alla prova di nuove ricerche sperimentali e di possibili obiezioni. Ho deciso di rompere gli indugi e scrivere questo libro perché nel frattempo tutti quelli che per mestiere cercano di acciuffare i bugiardi non restino con le mani in mano e già da ora si sforzino di cogliere gli indizi non verbali di menzogna. "Esperti" improvvisati offrono i loro servizi nella selezione del personale o nella formazione delle giurie. A poliziotti e tecnici che usano la "macchina della verità" si insegna quali sono gli indizi non verbali di menzogna: circa la metà delle in- formazioni contenute nei manuali che ho avuto modo di vedere è sba- gliata. I funzionari della dogana frequentano un corso speciale per individuare dal comportamento i sospetti contrabbandieri. Mi si dice che in questi corsi si utilizzano i miei lavori, ma alle ripetute richieste di vedere i materiali didattici ho ricevuto soltanto reiterate promesse di informazioni. Altrettanto impossibile è sapere che cosa stiano fa- cendo i servizi di controspionaggio, perché il loro lavoro è coperto dal segreto. So che sono interessati, perché il Dipartimento della Di-
dito meglio e dopo aver esaminato molti altri argomenti. Per comin- ciare, bisogna partire dalla definizione della menzogna, da una de- scrizione delle sue due forme fondamentali e dalla distinzione dei due tipi di indizi che permettono di scoprirla. 11
II Bugie e indizi che trapelano Otto anni dopo le sue dimissioni dalla presidenza, Richard Nixon negava di aver mentito ma riconosceva che, come altri uomini politici, aveva dissimulato. È una pratica necessaria per ottenere e mantenere cariche pubbliche, spiegava: «Non puoi dire quello che pensi di que- sto o quell'individuo perché può accadere che ti debba servire di lui... non puoi dichiarare le tue opinioni sui leader mondiali perché può capitarti di dover trattare con loro in futuro».^1 Nixon non è il solo ad evitare il termine "menzogna" quando il non dire la verità è in qualche modo giustificabile.^2 Come leggiamo nell 'Oxford English Dictionary alla voce "lie", «nell'uso moderno la parola è un'espressione violenta di riprovazione morale, che nella conversazione educata tende ad essere evitata, sostituita spesso dai sinonimi "falsehood" e "untruth" in quanto relativamente eufemisti- ci». 3 È facile chiamare "bugiardo" un individuo non sincero quando ci è antipatico, ma è difficile usare questo termine, malgrado la sua in- sincerità, se ci piace o lo ammiriamo. Molti anni prima dello scandalo Watergate, Nixon riassumeva tutti i caratteri del bugiardo per i suoi avversari democratici («Comprereste un'auto usata da quest'uo-
nizione i mentitori patologici, che sanno di mentire ma non riescono a farne a meno, così come non rientrano nella categoria quelle perso- ne che non sanno nemmeno di mentire, quelle che chiamiamo vittime di un autoinganno.^6 Può succedere che il mentitore col tempo finisca per credere alle proprie bugie. In questo caso, non abbiamo più a che fare con un autentico mentitore e i suoi inganni, per ragioni che spie- gherò nel prossimo capitolo, diventano molto più difficili da scoprire. Un episodio della vita di Mussolini dimostra che credere alle proprie menzogne non sempre è così utile: «Nel 1938 la composizione delle divisioni dell'esercito [italiano] era stata ridotta da tre a due reggi- menti. Questo piaceva a Mussolini perché gli permetteva di dire che il fascismo disponeva di 60 divisioni invece di 40, ma il cambiamento causò un'enorme disorganizzazione proprio quando la guerra stava per scoppiare; e siccome aveva dimenticato la passata direttiva, vari anni dopo Mussolini commetteva tragici errori di calcolo nel valutare la vera consistenza delle sue forze. A quanto pare, lo stratagemma aveva ingannato pochi altri, a parte lui stesso».^7 Quando si definisce la menzogna non basta considerare solo l'au- tore: occorre tener conto anche del destinatario. In un'autentica bu- gia il destinatario non chiede di essere tratto in inganno, né il bugiar- do ha notificato in precedenza l'intenzione di farlo. Sarebbe curioso chiamare bugiardi gli attori: il loro pubblico è d'accordo di lasciarsi ingannare per qualche tempo e loro sono lì apposta. A differenza del truffatore, l'attore si camuffa avvertendo esplicitamente che il perso- naggio impersonato è una finzione temporanea. Nella mia definizione di menzogna, allora, una persona intende trarre in inganno un'altra deliberatamente, senza avvertire delle sue intenzioni e senza che il destinatario dell'inganno gliel'abbia esplici- tamente chiesto.^8
Ci sono due modi principali di mentire: dissimulare e falsificare. Nella dissimulazione, chi mente nasconde certe informazioni senza dire effettivamente nulla di falso. Chi falsifica si spinge oltre: non solo l'informazione vera è taciuta, ma viene presentata un'informazione falsa come se fosse vera. Spesso è necessario combinare le due opera- zioni per portare a termine l'inganno, ma a volte basta la sola dissimu- lazione. Non tutti considerano la dissimulazione una menzogna; alcuni ri- servano questo termine solo all'atto più netto e sfacciato della falsifi- cazione.^10 Se il medico non dice al paziente che la sua malattia è incu- rabile, se il marito non racconta di aver passato l'intervallo del pranzo in un motel con la migliore amica della moglie, se il poliziotto non informa il sorvegliato speciale che c'è un microfono nascosto che re- gistra la sua conversazione con l'avvocato, in tutti questi casi non ven- gono trasmesse informazioni false, ma ognuno di questi è un esempio che corrisponde alla mia definizione di menzogna. I destinatari non hanno chiesto di essere tratti in inganno e chi lo fa agisce deliberata- mente, senza notificare in precedenza le pròprie intenzioni. L'infor- mazione è stata taciuta consapevolmente, con intenzione, non per caso. Esistono delle eccezioni, nelle quali l'occultamento di informa- zioni non è menzogna perché è stato preavvertito o autorizzato dalla controparte. Se marito e moglie si mettono d'accordo per mandare avanti un rapporto di coppia aperta, in cui ciascuno ha diritto a tacere le sue relazioni extraconiugali, a meno che l'altro non faccia domande dirette, ecco che nascondere l'appuntamento al motel non è più una bugia. Così, se il paziente chiede al medico di non dirgli se il responso è sfavorevole, tacere la gravità della malattia non è un inganno. Quan- to all'ultimo esempio, l'inquisito ha diritto per legge a colloqui riser- legittima attività o relazione quotidiana in cui il soggetto non esegua pratiche nascoste che sono incompatibili con le impressioni che intende favorire negli altri». (Entrambe le citazioni sono riprese da The Presentanoti of Self in Everyday Life, New York, Anchor Books, 1959, pp. 59, [tr. it. La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino, 1969]).