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Visione antropologica del buddhismo, Study Guides, Projects, Research of Anthropology of religion

Corso Introduzione alle grandi religioni

Typology: Study Guides, Projects, Research

2018/2019
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Visione antropologica del buddhismo
Corso: Introduzione alle grandi religioni
A.A. 2016/2017
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Visione antropologica del buddhismo

Corso: Introduzione alle grandi religioni

A.A. 2016/

1. Introduzione

    1. ‘‘Buddha’: aspetti semantico-etimologici p.
    1. ‘Buddha’ e ‘Buddhismo’: cenni storici p.
    1. Le scuole p.
    1. La Dottrina, ossia Le Quattro Nobili Verità buddhiste p.
    1. La questione della sofferenza p.
    1. Fondamenti antropologici del senso religioso p.
    1. Buddhismo e visione del mondo: l’influenza induista p.
    1. La visione dell'uomo nel Buddhismo p.
  • 10.Antropologia del Buddhismo: una visione cristiana p.
  • 11.Buddhismo e Cristianesimo: visioni dell’uomo a confronto p.
  • 12.L’essere umano come un Buddha in potenza p.
  • 13.L’uomo è un “essere in relazione” p.
  • 14.Esseri in relazione: Buddhisti e Cristiani in dialogo sulla carità p.
  • 15.Bibliografia p.

Nell’ottavo volume del Trattato di antropologia del sacro , curato da Michel Masson^3 , dedicato alla Cina e il sacro, Julien Ries, che ne cura la Prefazione^4 , spiega come il sacro sia onnipresente nella civiltà multisecolare cinese e in tutto l’Estremo Oriente. In particolare, la filosofia religiosa buddhista fu presentata dai missionari come un insieme di ricette nuove. Per esempio, continua Ries, i buddhisti del Mahayana in Cina partecipano al culto Dao e vi aggiungono le proprie dottrine, quali l’importanza del risveglio, le virtù attive e la compassione benevola. Tutto ciò porta a una nozione di salvezza che vede la presenza di Buddha salvatori , come Amitābha, e di paradisi. Il culto di Amitābha opera infatti una sorta di rivoluzione nel Buddhismo, trasformandosi in una vera e propria religione. Viene presentato infatti come colui che è autore della salvezza. “Il Buddha storico viene sostituito da Amitābha, mentre al nirvāṇa del Buddhismo delle origini subentrano dei paradisi.”^5 Gli adepti di Amitābha professano l’esistenza di un paradiso e si dedicano alla devozione conducendo una vita di alto livello morale, facendo uso di diverse pratiche di pietà. L’ideale, in questa visione del Buddhismo, è rappresentato dalla felicità e dalla rettitudine (de Lubac 1955, Magnin 1997). In un'altra sua opera^6 , Julien Ries spiega come alla base del senso religioso dell’uomo vi siano due dati essenziali di cinque grandi religioni professate attualmente^7 , di cui il primo fondamento è la relazione con il divino.

Il principio stesso del senso religioso è la scoperta da parte dell’uomo della sua relazione con il divino, con Dio, con il mistero trascendente. Il giudaismo infatti si fonda su un Dio trascendente, vale a dire il Dio di Abramo di Isacco di Giacobbe, ossia, il Dio dell’alleanza del Sinai che conduce il suo popolo. Dio si rivela all’uomo come suo Signore, il fedele ha coscienza di essere il servitore dell’unico Dio. Nel cristianesimo, con la Nuova Alleanza , Dio è il padre di tutti gli uomini, Egli si è rivelato nel Verbo Incarnato, Suo Figlio, Gesù Cristo, e tutti e due inviano lo Spirito Santo sulla Chiesa per la santificazione dei credenti. Il senso religioso qui non è più il senso del servitore, ma prende il posto della filiazione adottiva. L’uomo diventa così figlio adottivo di Dio. Nell’Estremo Oriente profondamente religioso, le pratiche e le esperienze mistiche sono molto diversificate. La cosa essenziale è sempre l’esperienza vissuta: il sacrificio vedico, per esempio, aveva come scopo la conquista dell’immortalità; il brahmanesimo era orientato verso una ricerca dell’assoluto, che ha finito per identificare Brahmana e Athman : è Mosha , la salvezza o esperienza di liberazione dell’esistenza temporale. Nella Vagavadita , il canto del signore, il Dio Krishna si rivela come il

(^34) Pubblicato da Jaka Book, Milano 2008. OrienteJulien Ries ( – Cina”, Jaca Book – Prefazione ), in Michel Masson sj (a cura di) Massimo, Milano 2008, p.13.^ Trattato di antropologia del sacro , Volume 8, “Grandi Religioni e Culture dell’Estremo (^5) Julien Ries ( Prefazione ), Trattato di antropologia del sacro , Volume 8: Grandi religioni e culture nell'Estremo Oriente. Cina ., Michel Masson (curatore), Jaka Book, Milano 2008, p.17 (^6) Julien Ries, Il senso religioso dell’uomo nel cosmo e nella storia dell’umanità , vedi pdf online, dal titolo “Il senso religioso nella storia dell'umanità - Meeting Rimini 2000”, sito stesso autore l’Introduzione all’ http://www.meetingrimini.org/detail.asp?c=1&p=6&id=316&key=3&pfix=.. Consultato il 7/09/2017, ore 23:00. Cfr. dello L'uomo e il sacro nella storia dell'umanità , Opera omnia. Vol. 2, Jaca Book, Milano 2007. (^7) Cristianesimo, ebraismo, islamismo, buddismo, induismo.

signore supremo, e il suo fedele è in uno stato di relazione, di devozione direttamente con il suo Dio al quale rende un conto personale. Per loro, Dio è Krishna considerato come un amico al quale il fedele si dedica totalmente. Dio si manifesta a lui come un Dio d’amore. Ci si trova quindi in presenza di una vera e propria religione che mostra nell’ abaktit un profondo senso religioso decisivo per l’India. Per quanto riguarda il Buddhismo, dice Ries, non è che il cammino di liberazione dal dolore tracciato dal Buddha, il risvegliato, al fine di ricondurre l’uomo verso lo stato del Nirvana , vale a dire di totale liberazione. In questa dottrina non c’è una vera trascendenza sebbene questo stato di Nirvana sia situato al di là della condizione umana. È uno stato di pienezza. Cento secoli dopo la morte di Gautama Buddha, il Buddhismo Mahayana introdusse l’idea dei salvatori, i bodisanfa. Così il Buddhismo diventò una religione con un messaggio di salvezza e l’idea di un paradiso cominciò a svilupparsi nei seguaci del Buddhismo. Inizia così infatti la divinizzazione del Buddha.

Nel mondo antico, le religioni si configuravano perlopiù come etniche: l’individuo e la sua vita religiosa era condizionata dalla sua appartenenza a una società.^8 La presenza di religioni della liberazione e dell’immortalità, come l’induismo e il buddhismo, è infatti prerogativa dell’Estremo Oriente; e si inseriscono tra le più importanti, diffuse ed antiche religioni dell’umanità.

Nel presente elaborato, non intendiamo approfondire in ogni suo aspetto l’argomento, né pretendiamo di essere esaurienti su che cosa sia la persona nella visione del Buddhismo. Pertanto, attingeremo alla visione del “Buddhismo Mahayana”, e alle fonti apprese durante le lezioni della Professoressa Jae- Suk Lee, autrice inoltre del saggio Antropologia del Buddhismo Mahayana. La dignità umana alla luce del messaggio di Buddha , pubblicato in rivista «Lateranum n. 3/2013». Saranno nostre fonti, inoltre, alcune pubblicazioni di autori cristiani sul Buddhismo , così come contenuti trattati nelle varie enciclopedie, in particolare la Treccani.

2. ‘Buddha’: aspetti semantico-etimologici

Lo storico delle religioni di origini romene Mircea Eliade, mio connazionale, col suo lavoro Il Buddha e i suoi contemporanei^9 , lasciò in eredità un’analisi significativa dal punto di vista semantico ed etimologico della parola ‘buddha’: “Etimologicamente, il termine sanscrito è pāli buddha significa «colui che si è risvegliato»; nel contesto delle religioni indiane, esso viene impiegato come titolo

(^89) Cfr. Julien Ries , L'uomo e il sacro nella storia dell'umanità , Opera omnia. Vol. 2 ( Introduzione ), Jaca Book, Milano 2007, p.5. Vedi Mircea Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose , Capitolo XVIII, pp.77-94.

Il fondatore del Buddhismo (Buddha = Risvegliato ), Siddhattha Gautama (563-483 a.C.), si racconta fosse figlio di un ricco vassallo e possidente terriero, divenuto monaco errante asceta^13. Più o meno contemporanei di Gautama, tra il VI e V secolo a.C., furono Socrate in Grecia, Zarathustra in Persia, Confucio e Lao-tzŭ in Cina. Pare che Buddha, Confucio e Lao-tzŭ si siano addirittura incontrati ( qui nell’immagine, ripresa da internet ), ma sono molti gli studiosi che esprimono dubbi su questo punto. Che lingua parlava il Buddha? Egli certamente non si servì del sanscrito, che era l'antica lingua sacra indiana, ma si espresse nel linguaggio corrente del suo tempo, ossia in un dialetto medio-indo-ario, e volle che nel propagare la sua dottrina i discepoli usassero ciascuno la propria madrelingua. Fino al I secolo a. C. i testi buddhisti furono oggetto di trasmissione prevalentemente orale: la conservazione mnemonica dei testi sacri per la posterità era uno dei compiti dell'ordine monastico fondato da Buddha (Saṅgha).^14

Il Buddhismo , com’è noto, sorse in India nel VI sec. a. C., in quel fervido periodo a cui Karl Jaspers diede il nome di “periodo assiale” della storia mondiale, situato intorno al 500 a. C. “In questo periodo — scive Jaspers — si concentrano i fatti più straordinari. In Cina vissero Confucio e Lao-tse, sorsero tutte le tendenze della filosofia cinese, meditarono Mo-ti, Chuang-tse, Lieh-tsu e innumerevoli altri”. In India apparvero le Upanishad, visse Buddha e, come in Cina, si esplorarono tutte le possibilità filosofiche fino allo scetticismo e al materialismo, alla sofistica e al nichilismo.

In Iran Zarathustra propagò l’eccitante visione del mondo come lotta fra bene e male. In Palestina fecero la loro apparizione i profeti, da Elia a Isaia e Geremia, fino a Deutero-Isaia. La Grecia vide Omero, i filosofi Parmenide, Eraclito e Platone, i poeti tragici, Tucidite e Archimede.

Tutto ciò che tali nomi implicano prese forma in pochi secoli quasi contemporaneamente in Cina, in India e nell’Occidente, senza che alcuna di queste regioni sapesse delle altre. La novità di quest’epoca è che in tutti e tre i mondi l’uomo prende coscienza dell’Essere nella sua interezza [ Umgreifende , ulteriorità onnicomprensiva], di sé stesso e dei suoi limiti. Viene a conoscere la terribilità del mondo e la propria impotenza. Pone domande radicali. In altri termini, nel periodo assiale, sembra che l’umanità abbia fatto un incredibile salto nell’approfondimento della conoscenza di sé e si sia operata

(^13) Giovanni Monastra, Ananda K. Coomaraswamy, Buddha e la dottrina del buddhismo , Luni, Milano, 1994 - http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/reneguenon/buddcoo.htm - data di consultazione: 17/08/2017, ore 15:29. (^14) Vedi l’Enciclopedia Treccani - http://www.treccani.it/enciclopedia/buddhismo_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/, ultimo accesso il 15/01/208 ore 19.

una trasformazione globale dell’essere-umano a cui, sempre secondo Jaspers, "si può dare il nome di spiritualizzazione".

Vennero infatti formulate le categorie fondamentali secondo cui pensiamo ancor oggi e poste le basi delle religioni universali, di cui vivono tuttora gli uomini. In ogni senso fu compiuto il passo nell’universale. Gli insegnamenti dei maestri di questo periodo, proprio per avere in comune il fatto di essersi poste come riflessione critica e ricerca di saggezza, e di aver costruito scuole di tolleranza nella negazione di dogmatismi, ritualismi ed esteriorità, costituiscono ancor oggi imprescindibili riferimenti spirituali.”^15

Lo storico Ananda K. Coomaraswamy illustra il giudizio del Buddha sui molteplici aspetti della "esistenza" umana (più in generale, il "divenire", il samsara ), dai cui vincoli egli insegnò a liberarsi definitivamente tramite una Via rigorosa, lontana da ogni sentimentalismo. La sua dottrina si basa su alcuni capisaldi: esiste la sofferenza, che ha una causa nell'impermanenza di tutte le cose, sofferenza che può essere soppressa attraverso una specifica disciplina, l'ascesi, la quale, però, non deve mai divenire mortificazione, puritanesimo, ossessione.^16 Secondo Kipoy-Pombo, poche dottrine come questa hanno condotto sino all’estremo limite possibile l’analisi della situazione umana e la ricerca di una liberazione dalla tragedia di vivere^17. Il primo fatto dell’esistenza dunque è la legge del cambiamento o impermanenza. Tutto ciò che esiste, da una molecola ad una montagna, da un pensiero ad un impero, passa attraverso lo stesso ciclo d’esistenza - nascita, crescita, decadenza e morte. Soltanto la vita è ininterrotta, cercando sempre di manifestarsi in nuove forme. “La vita è un ponte; quindi non costruirci una casa sopra”. La vita è un continuo fluire, e colui che si aggrappa a qualsiasi forma, per quanto splendida, soffrirà resistendo alla corrente.

Il Buddhismo sarebbe nato nel nord dell’India come una reazione al bramanesimo indù, al ritualismo devozionale della religione ufficiale che non dà risposte immediate all’infelicità umana. Non offre una teologia sulla Divinità, ma insegna all’uomo ferito come guarire del suo male esistenziale. “Chi persegue il proprio bene, si affretti a strapparsi di dosso la freccia che porta conficcata”^18 , recita un antico aforisma attribuito al Buddha, il quale mantenne il suo silenzio sulla Divinità quando gli venne chiesto di pronunziarsi su di Essa. Il Sutra del Loto , uno dei testi sacri più significativi del Buddhismo Mahayana, insegna che tutti sono destinati a diventare dei “buddha”, cioè “illuminati” o “risvegliati”.

(^15) Riccardo Venturini, Che cosa è il Buddhismo , in "La critica sociologica", 1994-95, n. 111-112, e sito internet consultato il 22/07/2017, alle ore 15:10, http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/buddhismo/checosa.htm (^16) A.K. Coomaraswamy, Induismo e Buddhismo , Milano 1973, consultato sul sito http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/reneguenon/buddcoo.htm, data di accesso: 17/08/2017, ore 10:14. (^17) Kipoy-Pombo, op. cit., p. (^18) Sutta Nipāta 592.

Solamente i 'detti del Buddha' avrebbero dovuto essere vincolanti, ma in seguito anche altre tradizioni furono considerate tali e furono accolte nel canone.^22

Una sintesi dei due principali tipi di Buddhismo, “il Grande Veicolo (Mahayana) ed il Piccolo veicolo (Hinayana o Theravada, la via degli anziani), la troviamo in L. Cardarelli. Nello Sri Lanka, in Birmania, Thailandia, Cambogia, Nepal (India Settentrionale, ove ebbe origine), Tibet, Cina, Giappone, Mongolia, troviamo la tradizione Hinayana (Theravada). Il Theravada sarebbe più rigoroso; sarebbe una via per monaci e non per laici. I monaci vivono in povertà, in meditazione. Mentre la tradizione Mahayana, al contrario, ritiene che sia essenziale vivere nel mondo (nel «qui e ora»).^23

5. La Dottrina, ossia Le Quattro Nobili Verità buddhiste^24

Essendo la vita un Tutt’uno, gli interessi della parte dovrebbero essere quelli del tutto. L’uomo, nel suo limite, pensa di poter perseguire con successo i propri interessi e questa mal indirizzata energia egoistica gli produce sofferenza. L’uomo impara dalla propria sofferenza a ridurne e ad eliminarne definitivamente la causa. Consapevole di ciò, il Buddha insegnò quattro Nobili Verità, che tutto il Buddhismo ha tramandato. Le “Quattro Nobili Verità” enunciate dunque nel primo discorso del Buddha dopo l’Illuminazione. Le “Quattro Nobili Verità” rappresentano il cuore dell’insegnamento del Buddha, che lui espose nel suo primo discorso a Benares, poco dopo il Risveglio, dinanzi ai suoi cinque compagni d’un tempo. La prima Verità riguarda la questione della sofferenza o il dolore (păli: dukkha ): la sofferenza è onnipresente. La seconda Nobile Verità identifica l’origine della sofferenza nel desiderio diretto erroneamente, nell’appetito o ‘sete’ che determina le reincarnazioni; ossia la causa della sofferenza. La terza Nobile Verità suggerisce la sua cura, la rimozione della causa; proclama che la liberazione dal dolore consiste nell’abolizione degli appetiti e ciò equivale al Nirvāna.

(^22) Gianfranco Bertagni pubblica sul suo sito oltre 150 contributi sul Buddhismo, ma allo stesso tempo scrive: “È imbarazzante parlare di Buddhismo. Ed è anche rischioso: questo a causa del troppo successo che oggi esso ha qui in Occidente, purtroppo anche in menti abbastanza deboli e più propensenel trasbordare la propria fede da una religione all'altra, che non a cogliere la ricchezza psicologica e filosofica presente nella dottrina buddhista. Non mi interessano tanto forme di buddhismo spiccatamente ritualistiche e folcloristiche, quanto il messaggio originario del Buddha e il buddhismotheravada. Vedi: http://www.gianfrancobertagni.it/Discipline/buddhismo.htm , data consultazione: 20/01/2018. (^23) Vedi Leonella Cardarelli, Religioni e filosofie nell’estremo Oriente , sito internet consultato il 22/07/2017, alle ore 14:30, http://www.duepassinelmistero.com/religioni_e_filosofie_or.htm (^24) Vedi Mircea Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, Capitolo XIX, “Il messaggio del Buddha: dal terrore dell’eterno ritorno alla beatitudine dell’indicibile”, pp. 97-99.

La quarta Nobile Verità traccia la via che conduce alla eliminazione della sofferenza: il Nobile Ottuplice Sentiero dell’auto-sviluppo che conduce all’estinzione della sofferenza.

6. La questione della sofferenza

La centralità assoluta della questione dell'uomo, più che in altre tradizioni indiani, è nella visione religiosa offerta da Siddhartha Buddha. Che cosa spinge il principe Siddhartha alla sua famosa rinuncia al regno e alla famiglia? Il senso della futilità di una vita dedita ai piaceri mondani e la speranza di poter dare un senso alla propria esistenza. Una presa di coscienza della situazione esistenziale della sofferenza sta quindi all'inizio della sua ricerca. “Come in ogni cosa che riguarda il buddhismo, l'inizio di tutto è un dato della realtà della vita, ossia: chi è nato, è e sarà esposto alla sofferenza, senza eccezione alcuna. La sofferenza quindi come realtà universale, comune a ciascun essere vivente. Una realtà che è già parte della nostra vita proprio nel momento nel quale si nasce: il primo suono emesso dal bambino è il pianto. Un pianto che poi, come ultima voce, solitamente accompagna chi muore assistito da coloro che lo amano. Perciò la sofferenza vista come elemento unificante tra tutti gli esseri viventi, senza distinzione di ceto, senza distinzioni né geografiche né temporali, e senza distinzione di razza: chiunque abbia sentito lamentarsi un cane o un gatto ferito, per esempio, sa di che cosa parlo.”^25

La leggenda narra di "quattro uscite" durante le quali al principe Siddhartha gli accade di trovarsi di fronte ad un vecchio, ad un malato, ad un morto portato in corteo per la cremazione e ad un monaco mendicante. La ricerca religiosa che Siddhartha intraprende poi è intesa come affrancamento della sofferenza, vale a dire il superamento della triade: vecchiaia, malattia e morte.

Così, la sua dottrina, dopo aver ottenuto l'illuminazione più di 2500 anni fa, riguarderebbe esclusivamente la questione della sofferenza ( duhkha )^26 : insomma, Siddhārtha Gautama avrebbe scoperto la soluzione al problema del dolore umano che tormentava il suo spirito. Infatti, l’intera dottrina del Buddha è contenuta nei Sermoni di Benares : tutto è dolore, l’origine del dolore è il desiderio, la sete di piacere, la sete di esistere; l’annullamento del dolore sta nell’estinzione dei desideri; la strada proposta è quella dell’ottupla via che cancella il desiderio. “La validità dell’antropologia buddhista è chiara anche in questa considerazione dell’esistenza come tragedia che si svolge nel tempo.”^27

(^25) Mauricio Yūshin Marassi, La sofferenza come punto di partenza, in “La sofferenza, il buddismo e il cristianesimo” (Incontro interreligioso sul tema della sofferenza. Eremo camaldolese di Montegiove, 5 marzo 2016); articolo su pagina internet “La Stella de Mattino – consultato il 16/07/2017, alle ore 18:00, https://www.lastelladelmattino.org/10368 comunità buddista zen”, (^2627) Benedict Kanakappally, L'esistenza umana nell'induismo e nel buddhismo, in Antropologia cristiana ... Roma : Città Nuova, 2001, p. 816 Kipoy-Pombo, op.cit., p.94; e sopra, p. 3.

l’uomo che è il soggetto e l’attore dell’esperienza del sacro, che questa esperienza sia rudimentale come quella dell’uomo di Neanderthal che seppelliva i suoi defunti o mistica come quella di Mosè al monte Sinai”. 32

8. Buddhismo e visione del mondo: l’influenza induista

Per intendere storicamente il Buddhismo è necessario situarlo sullo sfondo del pensiero filosofico- religioso indiano, identificabile con le prime forme preparatorie o primitive dell'induismo. Il Buddhismo nasce dunque dal repertorio filosofico-spirituale dell’induismo, spesso con linguaggio e termini aventi significati diversi.^33 La differenza tra induismo e Buddhismo è che “I bramini detenevano il potere grazie al sistema dei riti e dei sacrifici. Tutta la vita indù si muoveva tramite questi riti che potevano innalzare spiritualmente l’uomo. Il Buddhismo si oppone a tutto ciò, sostenendo che non è il rito ma la disposizione dello stato d’animo dell’uomo e di come egli partecipa a questo rito, con quale atteggiamento personale”^34. Inoltre, il superamento del concetto di «caste^35 », è un altro aspetto di differenziazione del Buddhismo dall’induismo; così come – stando a quanto dice Bandini – sembra che l’induismo non abbia mai sviluppato una dottrina sociale, né abbia mai pensato alla elevazione dell’uomo: le anime hanno scelto di vivere in quella data condizione per purificarsi di colpe precedenti. Non si può e non si deve andare contro il karma , o destino^36. Una sostanziale differenza con l’induismo è che il Buddhismo non ha un concetto preciso di Dio poiché è unicamente interessato all’esperienza e l’esperienza sola può portare a cogliere la coesione e la connessione dell’intero esistente^37. Il Buddhismo della tradizione cinese fa parte delle religioni dell’Estremo Oriente – con il confucianesimo e il taoismo – , della religione tradizionale del Giappone – lo shintoismo – , delle espressioni sciamaniche della religiosità popolare in Corea e nelle altre civiltà dell’Estremo Oriente.^38

Per quanto riguarda la comprensione dell'uomo, invece, induismo e Buddhismo hanno tuttavia la stessa visione. Il Buddhismo ha assunto dall'induismo la credenza del karma-samsara e della

(^3233) Idem. all’induismo, si veda Francesco Bandini (A cura di),Per l’elenco dei termini identici nel significato sia dell’induismo che del buddismo; così per gli insegnamenti del Buddha ch Le grandi religioni orientali. Il buddismo (Sutta Nipata). L’Induismo (Bhagavad Gita), e si oppongono articolo pubblicato in “Quaderni di Etnologia e Archeologia del Sacro”, Settembre (^34) Bandini 2009, p. 14 -Gennaio 10/11, Editore: Alinea, Firenze, 2009, pp. 14-15. (^3536) Un elenco con le caste fondamentali dell’India brahmanica (post-Vedica), lo fa Bandini 2009, p. 15. 37 Idem.Leonella Cardarelli, Religioni e filosofie nell’estremo Oriente , sito internet consultato il 22/07/2017, alle ore 14:30, http://www.duepassinelmistero.com/religioni_e_filosofie_or.htm (^38) Cinto Busquet, L’uomo nelle religioni dell’Estremo Oriente , pubblicato in pdf sul sito http://www.meic.net/allegati/files/2010/09/14982.pdf. Data di accesso: 16/08/2017, ore 10:34. Busquet è sacerdote focolarino, il quale ha vissuto 17 anni in Giappone.

trasmigrazione dell'anima^39. Col tempo, il termine karma-samsara indicò la rinascita delle anime di persone defunte. Ma il noto studioso del pensiero indiano A.K. Coomaraswamy, nella sua opera Induismo e Buddhismo , Milano 1973, p.49 (cit. da Kanakappally, p. 829), sostiene che la nozione di “reincarnazioni”, intesa come una rinascita su questa terra da parte di individui defunti, rappresenterebbe un errore della comprensione della dottrina del karma-samsara. “Ciò che trasmigra non è tanto l’anima individuale quanto il bagaglio sensibile dei meriti, la onda ontica che prosegue vibrando in altro corpo fino a che ha esaurito tutta l’energia potenziale che le restava”^40.

L'idea della liberazione umana, il sommo bene dell'uomo, chiamato nirvana dai buddhisti, moksha dagli induisti, è tuttavia identica ad entrambe le religioni. Infatti, si può affermare con Kanakappally, che la scuola Mahayana del Buddhismo è una forma 'induizzata' del Buddhismo 41 , il quale dice: “È nelle ‘Upanishad’ che per la prima volta vengono enunciate chiaramente le dottrine basilari dell'induismo e del Buddhismo quali la reincarnazione e il Moksha/Nirvana , e l'ideale ascetico della vita che consiste nella rinuncia al sesso, alla ricchezza e alla famiglia.” Buddha seguì questo ideale religioso proposto dalle Upanishad.”^42

Liberarsi dalla catena delle reincarnazioni non è semplice, anzi, impossibile, perché ogni nostro pensiero negativo o azione negativa (anche involontaria) creerebbe un nuovo karma. Il karma è definito nel Buddhismo come il debito che dobbiamo «scontare» nella vita successiva, all’infinito. Il karma , nel senso di azione-reazione, per i buddhisti, governa tutta l’esistenza e l’uomo è l’unico artefice della propria situazione e della sua reazione a essa, della sua condizione futura e del suo destino finale. Mediante retto pensiero e retta azione, egli dovrebbe gradualmente purificare la sua natura profonda e così, tramite l’auto - realizzazione, col tempo raggiungere la liberazione dalle rinascite. Il processo richiede naturalmente lunghi periodi di tempo, implicando vita dopo vita in terra, ma alla fine ogni forma di vita dovrebbe raggiungere l’Illuminazione.

Se l’induismo vede l’intera manifestazione cosmica come espressione di un piano divino, in cui l’anima individuale è diciamo così, intrappolata; e ogni essere umano è dunque la divinità che si trastulla in quel gioco, inserito nella ruota delle reincarnazioni ( kala chakra ), il Buddha è invece colui che riesce a liberarsi dalle catene del divenire. Ossia dalla ruota delle reincarnazioni. I buddhisti,

(^39) “Etimologicamente l’espressione karma-samsara indicherebbe un certo modo di perpetuarsi delle azioni o gli effetti duraturi delle azioni.” Delle azioni che producono reazioni a catena. Azioni intese come entità cariche di forza, che restano, ad un livello quasi impercettibile, finché la loro caricanon si esaurisce. Kanakappally, p. (^40) Raimon Panikkar, Il silenzio del Buddha. Un ateismo religioso , Mondadori, Milano, 2006, p. 66 (^4142) Kanakappally, p. 818 Kanakappally, p. 825

Ma quali sono gli elementi fondamentali della Saggezza del Buddha? Tratteremo in seguito della concezione dell’uomo nel Buddhismo e della condizione umana. Il ruolo dell’azione umana caricata di una potenza karmica, relativa cioè alla legge di causa-effetto insita nell’agire dell’uomo.^49

9. La visione dell'uomo nel Buddhismo

L'idea dell'esistenza umana nel Buddhismo, come nelle religioni indiane, sarà profondamente segnata dalla credenza nella reincarnazione, a partire dal periodo upanishadico. Sia per l'Induismo che per il Buddhismo, dunque, la rinascita è vista come un fatto completamente negativo: l’esistenza umana è così considerata inautentica e insensata.^50 L’uomo nel pensiero buddhista^51 è stato analizzato ampiamente dal fratello giosefita congolese di Kinzambi, Kipoy-Pombo^52 , in un capitolo del suo libro, dove l’argomento è stato trattato in modo particolare sotto il profilo filosofico. Per quanto riguarda la persona umana, l’insegnamento del Buddha si concentra sul concetto di ciò che si chiama «io» in quanto tale, poiché è all’origine dell’antropologia buddhista. Infatti, gli insegnamenti del Buddhismo sulla natura umana – nonostante le molte scuole che lo rappresentano – sono profondi e ben elaborati^53.

Di fronte alle domande esistenziali dell’uomo (chi siamo – da dove veniamo – dove andiamo – cosa speriamo), il Buddha eliminerebbe la domanda stessa, mettendola a tacere. Il Buddha rifiuterebbe quindi di dare una risposta intellettuale alle questioni ultime, quantunque esse trascendano la sfera dell’intelligenza e del pensiero. Il Buddha non risponderebbe non perché ignori la risposta, ma perché conosce la non validità della domanda. L’atteggiamento del Buddha per tutto quello che gli uomini considerano come le cose più importanti sarebbe una santa indifferenza: la sabbia e la polvere d’oro avrebbero per il Buddha lo stesso valore. Le questioni circa l’esistenza di Dio, di una vita ultraterrena, o di un’anima immortale, risulterebbero evidenti a tutti gli uomini. Ma così non è. Per Raimon Panikkar “Il Buddha dissolve le radici stesse del problema, non negando direttamente Dio, ma mostrandoci la superficialità della domanda, in quanto il dubbio non verrebbe in ogni caso eliminato da qualsivoglia risposta. Inoltre, l’esperienza dimostra che l’improbabile risposta non porta ad alcuna soluzione, né ad una vita migliore; la

(^4950) Cfr. Julien Ries, I volti del buddhismo , Jaca Book, Milano 2008, p.7. 51 Kanakappally, 825Kipoy-Pombo, Chi è l'uomo? Introduzione all'antropologia filosofica in dialogo con le culture , Armando Ed., 2009, pp. 89- (^52) Nato nel 1959 nella R. D. del Congo. Dal 1990, è professore di Antropologia filosofica e metafisica all’Istituto Superiore di Catechesi e Spiritualità Missionaria della Facoltà di Missiologia (Pontificia Università Urbaniana) e dal 1999, professore invitato di Antropologia culturale e sociologica missionari del Collegio Internazionale San Giuseppe di Propaganda Fide/Roma. È autore di libri e numerosi articoli in riviste al Pontificio Istituto Teologico Teresianum. Dal 1983 fino ad oggi, è nell’équipe formativa dei catechisti scientifiche. 53 Kipoy-Pombo 2009, p. 89.

conseguente insoddisfazione porta l’uomo a non essere mai contento, a cercare sempre una risposta definitiva, che ancora non ha mai trovato. Quanto a ogni possibile risposta, ne viene evidenziata la vacuità, non tanto perché ci sono tante risposte quanti sono gli uomini, ma perché la domanda sorge necessariamente nello spazio occasionale e casuale in cui l’uomo si trova temporaneamente (determinato da condizioni sociali, storiche, etniche) e quindi anche la risposta non può che essere contingente e non può avere la pretesa di essere l’ultima o la finale. La risposta del Buddha – dice Panikkar – è il silenzio come superamento di ogni risposta, riconoscendo l’inadeguatezza radicale della domanda e la inidoneità della risposta, che possa essere data. Affermare o negare Dio non ha rilevanza; entrambe le risposte sarebbero comunque ugualmente sbagliate. Se la realtà ultima fosse il Dio dei teisti, egli dovrebbe essere responsabile di tutto ciò che accade quaggiù e quindi anche del male.”^54 Il Buddha infatti non si è fatto condizionare dalla dialettica del proprio tempo su Dio e le istanze universali dell’uomo per concentrarsi consapevolmente sul piano pratico dell’esistenza. Anche san Tommaso dirà poi: «Hoc ipsum est deum cognoscere, quod nos scimus ignorare de Deo quid sit.» ( Questo appunto è conoscere Dio, sapere che ignoriamo cosa Dio sia ). Il Buddha distrae l’uomo dalla sua attività pensante per dirigerlo esclusivamente verso il suo principale ed unico compito: liberarsi dal dolore e dalle sue cause, conseguire l’illuminazione e il risveglio, e vitando di speculare sull’Ineffabile. È evidente infatti che se l’assenza di pensiero e il silenzio della mente sono i requisiti necessari per arrivare alla verità ultima è perché in essa non c’è nulla che possa essere pensato. “La rivelazione del Buddha dice all’uomo di rinunciare non solo a cercare Dio, per conoscere com’è, ma anche di rinunciare a Dio stesso e a qualsiasi tipo di sostegno come appoggio nel cammino per raggiungere la salvezza, poiché questo è ciò che dà senso alla vita spirituale del discepolo”.^55 A questo punto, sorgono spontanee alcune domande. Che cos’è il Buddhismo? È una filosofia, una psicologia o una religione? Il Buddhismo è una religione monoteista? Può dirsi religione? È possibile un dialogo interreligioso con il Cristianesimo? Sono queste alcune domande che interrogano gli studiosi della materia^56. Possiamo dire, una saggezza più che religione, che fu accettata da tutti i paesi dell’Estremo Oriente, dall’India alla Cina, dal Tibet alla Sri Lanka. Gli Europei entrarono in contatto con il Buddhismo attraverso la colonizzazione, ma alcuni non lo compresero e si opposero di fatti in nome della loro

(^54) Appunti da Raimon Panikkar, Il silenzio del Buddha. Un ateismo religioso , Mondadori, Milano, 2006 – Sito: http://www.saddha.it/wp-content/uploads/Bracchetti-Il-silenzio-del-Buddha.pdf, consultato il 17/08/2017, ore 01:03. 55 56 Idem.Francesco Bandini (A cura di), Le grandi religioni orientali. Il buddismo (Sutta Nipata). L’Induismo (Bhagavad Gita), articolo pubblicato in “Quaderni di Etnologia e Archeologia del Sacro”, Settembre-Gennaio 10/11, Editore: Alinea, Firenze, 2009, p.

Scrive Panikkar: «Questa dottrina è profonda, difficile da vedere, difficile da comprendere; è buona ed eccellente, va al di là del raziocinio, sottile e conoscibile soltanto da chi è veramente saggio.»^60 Questo avrebbe detto il Buddha, rivelando la via di mezzo : una intuizione geniale, che consiste nel non voler portare nulla fino all’estremo, perché qualsiasi assolutizzazione, anche quella del pensiero più elevato, sarebbe idolatria. Egli propone la via di mezzo : un cammino e un sentiero reale, proprio perché è, e vuole essere, una via che porta alla realizzazione e non una mera elucubrazione intellettuale o dottrinale. La via di mezzo che sobriamente si ferma tra due estremi, e non pretende di condurci fino al limite-proiezione della nostra mente ma si arresta là dove il cammino rappresenterebbe una contraddizione interna. In questo modo “l’eternalismo e il nichilismo vengono negati e respinti; il desiderio e la brama vengono affrontati con l’estinzione dell’attaccamento; l’edonismo e l’automortificazione sono rifiutati; all’avversione, alla rabbia e all’odio si risponde con l’equilibrio, l’equanimità e la compassione; l’esaltazione per il successo fronteggiata con la stessa diligenza con la quale viene allontanata la depressione; e la stessa compassione – che è partecipazione al dolore altrui, ed è colonna portante dell’insegnamento – viene bilanciata dalla saggezza. Egli chiede che l’uomo semplicemente comprenda l’impermanenza di tutto ciò che esiste, incluso se stesso.^61 Per Buddha, bisognerebbe osare di entrare nel silenzio profondo del nostro essere, facendo tacere tutto il vocio interno della nostra facoltà di pensare. Tutto il suo insegnamento mira al conseguimento di tale silenzio, e per potervi entrare ha posto in primo piano la meditazione, la contemplazione, la quiete della mente, il silenzio interiore: «Un uomo che cerca di praticare la meditazione senza avere prima raggiunto il controllo della mente è come chi cerca di fare il pane con un impasto di sabbia.» Egli cerca di infondere grande fiducia nel risveglio salvifico. Dall’Illuminazione potenziale a quella attuale si colloca la via di mezzo , l’Ottuplice Sentiero “dal desiderio alla pace”, un processo di auto-sviluppo tra gli “opposti”, evitando tutti gli estremi. La sola fede richiesta nel Buddhismo è la credenza ragionevole che dove una Guida – il Buddha – è passata vale la pena anche per noi di passare. La via deve essere percorsa dall’uomo intero, non solo dalla sua parte migliore, e il cuore e la mente devono essere sviluppate allo stesso modo. Il Buddha fu il pienamente Compassionevole come il pienamente Illuminato. In conclusione, possiamo dire che il Buddhismo non è pessimista, non è una via di fuga dalla realtà e non nega l’esistenza di Dio o dell’anima, ma attribuisce un proprio significato a questi concetti. Si può definire come un sistema di pensiero, una “religione”, una scienza spirituale e uno stile di vita ragionevole, pratico e che tutto abbraccia. Il Buddhismo infatti, abbraccia la scienza, la religione, la

(^60) Cfr. Raimon Panikkar (Appunti), Il silenzio del buddha. Un a-teismo religioso , Mondadori, Milano 2006, pubblicati sul sito Saddha (Associazionecontent/uploads/Bracchetti-Il-silenzio-del-Buddha.pdf consultato il 6/09/2017, ore 18:00 Italiana degli Amici del Monastero Buddhista Theravada Santacittarama), http://www.saddha.it/wp- (^61) Idem.

filosofia, la psicologia, l’etica e l’arte e punta unicamente sull’uomo quale creatore delle sua vita presente e unico autore del proprio destino.

10. Antropologia del Buddhismo : una visione cristiana

Una presentazione, in sintesi, della visione antropologica che soggiace all’esperienza religiosa dell’uomo nella visione buddhista, è stata pubblicata nel 2010 dal sacerdote focolarino, che ha vissuto 17 anni in Giappone, Cinto Busquet, nel suo lavoro L’uomo nelle religioni dell’Estremo Oriente.^62 La lettura che Busquet presenta della tradizione spirituale buddhista è fatta dall’ottica cristiana; ed è l’aspetto che a noi interessa da vicino per questo lavoro^63. “In queste tradizioni, l’uomo si autocomprende essenzialmente come una parte del Tutto. Anche la tradizione ebraico-cristiano colloca l’uomo all’interno dell’insieme del cosmo, ma lo considera anche colui che lo governa, colui al quale viene affidata la Creazione intera. Secondo i racconti biblici, il cosmo e la Natura, così come l’uomo stesso, sono creazione di Dio; secondo le tradizioni spirituali dell’Estremo Oriente, invece, il mondo e l’uomo non sono creazione di Dio, ma esistono secondo una Legge Eterna insita alla Natura stessa, che l’uomo cerca di cogliere e comprendere attraverso un cammino di impegno spirituale e morale. Quindi, l’uomo non è il centro del mondo, l’uomo non può governarlo dal di fuori o dal di sopra: l’uomo è un’espressione di questo Tutto che si manifesta in lui.”^64

Il Buddhismo, come tutte le tradizioni orientali, ha un approccio non personale alla Realtà Ultima; per cui offre un’ermeneutica non personalistica della realtà umana. La rivelazione ebraico-cristiana mostra il volto personale di Dio e insegna il valore intrinseco ad ogni essere umano, proprio perché chiamato da Dio ad un rapporto personale con Lui e con gli altri esseri umani. La sapienza orientale, invece, riconosce la sacralità dell’esistenza umana e si apre con estremo rispetto verso il Mistero che la fonda, ma non si pronuncia esplicitamente sull’identità personale e personalizzante di Dio neppure dell’uomo. L’uomo non si comprende “di fronte” al Divino, “diverso” dal Sacro: l’uomo è un tutt’uno con la Natura, è un’espressione dell’Ordine Cosmico, è “una parte” del Tutto. L’uomo, quindi, non ha valore in sé da solo. Il suo valore gli viene dato da ciò che rappresenta per l’insieme: la Natura

(^62) vedi Cinto Busquet, L’uomo nelle religioni dell’Estremo Oriente , sul sito: http://www.meic.net/allegati/files/2010/09/14982.pdf - data di consultazione: 16/08/2017, ore 23:44. (^63) “Anzitutto, dovremmo dire che forse sarebbe meglio parlare di “tradizioni spirituali” piuttosto che di “tradizioni religiose”. Se usiamo il termine “religione”, infatti, dovremmo contemplare le diverse sfumaturefraintendimenti. Infatti, il termine religio richiama più esplicitamente nell’immaginario collettivo ad un culto rivolto verso la Divinità, ad una dottrina che questo concetto comporta in ambito occidentale e potrebbero esserci dei su di Essa e ad un impegno morale che emerge chiaramente da questa fede religiosa; e non sempre nelle cosiddette “religioni dell’Estremo Oriente” questi elementi sono esplicitamente presenti. Se parliamo invece di “tradizioni spirituali” è chiaro, in ogni caso, che ci riferiamo a quella dimensione più profonda dell’uomo: dell’uomo che si chiede su se stesso, sul senso della propria esistenza, su co armonia con se stesso, con gli altri, con la natura, con il Principio Ultimo che fondamenta quanto esiste. In una parola, l’esperienza dell’uomo che sime deve vivere e sviluppare questa esistenza in apre radicalmente al Mistero. Quest’atteggiamento di apertura sincera al Mistero, può considerarsi probabilmente l’asse basilare delle diverse tradizionispirituali dell’Estremo Oriente.” (Cinto Busquet, “ L’uomo nelle religioni dell’Estremo Oriente ”). (^64) Cinto Busquet, “ L’uomo nelle religioni dell’Estremo Oriente ”, p. 2. Pubblicato online, sul sito http://www.meic.net/allegati/files/2010/09/14982.pdf