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Riassunto luigi ghirri lezioni di fotografia, Slides of Photography

Riassunto completo luigi ghirri lezioni di fotografia

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2021/2022

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LUIGI GHIRRI LEZIONI DI FOTOGRAFIA
Luigi Ghirri durante il 1989 e 90 ha tenuto una serie di lezioni sulla fotografia all università del
progetto di reggio emilia. Le registrazioni delle lezioni sono state trascritte mantenendo l ordine
cronologico e le caratteristiche dell’orale. I titoli delle lezioni,, dei paragrafi consentono al letto di
avere informazioni utili al fine di comprendere le questioni legate alla fotografia.
UNA PASSIONE DILETTANTESCA
Ghirri decide di cominciare il libro parlando di quali siano oggi i modi di lavorare e i ruoli di un
operatore che utilizza la fotografia unendosi a tutte le varie interconnessioni interne al lavoro di
fotografo.
Bisogna sottolineare che qualsiasi tipo di linguaggio, forma espressiva non è più qualcosa di chiuso
e nessuna opera può essere letta in modo didascalico perche diventa frutto di relazioni tra i mondi
della comunicazione.
Oggi qualsiasi opera (film, video, foto, musica) interagisce con altri linguaggi, più o meno
consapevolmente l’artista o il produttore viene influenzato ma altri linguaggi comunicativi. Di fatti
oggi non si può pensare ad un opera chiusa all’interno di un determinato periodo storico anche
perché esiste anche la relazione con altri media.
Il fotografo è sempre stato visto come un operatore attivo nel mondo dell editoria, come testimone,
illustratore di prodotti per l industria o è stato considerato come artigiano.
Da 20 anni a questa parte il fotografo partecipa alla creazione di realtà.
Il punto principale è che la figura del fotografo è una figura polivalente, la sua figura oggi è attiva
nella creazione globale dell’immagine di comunicazione. Questo si deve ad un gruppo di persone
che hanno portato la figura del fotografo ad evolversi, verso una visione completamente nuova,
nuova nel senso che il fotografo non ha più un ruolo passivo ma diventa progettista.
Per quanto riguarda la strada da intraprendere, in italia come all’estero vi erano e vi sono strade
diverse, la prima è quella di fare tirocinio presso studi fotografici apprendendo la tecnica, oggi
come in passato gli studi sono molto ben attrezzati, ma tutto quello che riguarda l idagine, la ricerca
o il pensiero sulla visione viene lasciato al caso, alla scoperta intuitiva o ingenua del fotografo.
In passato, anche all interno di studi fotografici ci sono stati personaggi che hanno avuto buona
intuizione ed hanno costruito storie di grande rilievo per la comunicazione, per l’editoria. Come ad
esempio di fratelli Alinari di Firenze, le loro immagini le ritroviamo nei testi, nelle stazioni
ferroviarie, nelle riproduzioni d’arte. Fin dall’inizio hanno scelto l’indagine sul campo
previlegiando l’area dell arte, dedicandosi alla riproduzione artistica quindi sia alla riproduzione di
opere pittoriche che scultoree o architettoniche. Cosa vogliamo dire con questo esempio? Che gli
Alinari hanno avuto occhio, intuizione e hanno cavalcato l’onda del cambiamento, loro con questa
documentazione hanno colmato un vuoto. Oltre loro potremmo anche citare lo Studio Villani a
Bologna che dal 1920 al 1950 si è basato su una ricerca in fase documentativa, un’attenzione rivolta
al sociale. A questa capacità di documentare il patrimonio culturale non è corrisposta, nei primi
decenni della fotografia, da parte di chi la praticava un’adeguata consapevolezza del proprio ruolo.
Una seconda strada era costituita dalla scuola del fotogiornalismo, che funziova secondo schemi
limitativi. Il fotogiornalismo inteso in modo attuale nasce in Italia solo nel secondo dopoguerra,
prevalentemente dall imput dato da un giornale che si chiamava ‘’Il mondo’’, diretto da Mario
Pannuzzo. Il ‘’Mondo’’ era una specie di laboratorio che promuoveva una nuova forma di
giornalismo e un nuovo tipo di approccio all’immagine. Il giornale non era più solo qualcosa da
leggere ma uno strumento di comunicazione. E’ quindi, dal dopoguerra in poi che il fotogiornalismo
italiano ha un suo sviluppo segnato da alti e bassi acneh se in questo periodo c’è un
ridimensionamento di interesse nei confronti del reportage, questo è dovuto alla diffusione delle
notizie e delle immagini attraverso la televisione che avviene in tempo reale. Un tempo
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LUIGI GHIRRI LEZIONI DI FOTOGRAFIA

Luigi Ghirri durante il 1989 e 90 ha tenuto una serie di lezioni sulla fotografia all università del progetto di reggio emilia. Le registrazioni delle lezioni sono state trascritte mantenendo l ordine cronologico e le caratteristiche dell’orale. I titoli delle lezioni,, dei paragrafi consentono al letto di avere informazioni utili al fine di comprendere le questioni legate alla fotografia. UNA PASSIONE DILETTANTESCA Ghirri decide di cominciare il libro parlando di quali siano oggi i modi di lavorare e i ruoli di un operatore che utilizza la fotografia unendosi a tutte le varie interconnessioni interne al lavoro di fotografo. Bisogna sottolineare che qualsiasi tipo di linguaggio, forma espressiva non è più qualcosa di chiuso e nessuna opera può essere letta in modo didascalico perche diventa frutto di relazioni tra i mondi della comunicazione. Oggi qualsiasi opera (film, video, foto, musica) interagisce con altri linguaggi, più o meno consapevolmente l’artista o il produttore viene influenzato ma altri linguaggi comunicativi. Di fatti oggi non si può pensare ad un opera chiusa all’interno di un determinato periodo storico anche perché esiste anche la relazione con altri media. Il fotografo è sempre stato visto come un operatore attivo nel mondo dell editoria, come testimone, illustratore di prodotti per l industria o è stato considerato come artigiano. Da 20 anni a questa parte il fotografo partecipa alla creazione di realtà. Il punto principale è che la figura del fotografo è una figura polivalente, la sua figura oggi è attiva nella creazione globale dell’immagine di comunicazione. Questo si deve ad un gruppo di persone che hanno portato la figura del fotografo ad evolversi, verso una visione completamente nuova, nuova nel senso che il fotografo non ha più un ruolo passivo ma diventa progettista. Per quanto riguarda la strada da intraprendere, in italia come all’estero vi erano e vi sono strade diverse, la prima è quella di fare tirocinio presso studi fotografici apprendendo la tecnica, oggi come in passato gli studi sono molto ben attrezzati, ma tutto quello che riguarda l idagine, la ricerca o il pensiero sulla visione viene lasciato al caso, alla scoperta intuitiva o ingenua del fotografo. In passato, anche all interno di studi fotografici ci sono stati personaggi che hanno avuto buona intuizione ed hanno costruito storie di grande rilievo per la comunicazione, per l’editoria. Come ad esempio di fratelli Alinari di Firenze, le loro immagini le ritroviamo nei testi, nelle stazioni ferroviarie, nelle riproduzioni d’arte. Fin dall’inizio hanno scelto l’indagine sul campo previlegiando l’area dell arte, dedicandosi alla riproduzione artistica quindi sia alla riproduzione di opere pittoriche che scultoree o architettoniche. Cosa vogliamo dire con questo esempio? Che gli Alinari hanno avuto occhio, intuizione e hanno cavalcato l’onda del cambiamento, loro con questa documentazione hanno colmato un vuoto. Oltre loro potremmo anche citare lo Studio Villani a Bologna che dal 1920 al 1950 si è basato su una ricerca in fase documentativa, un’attenzione rivolta al sociale. A questa capacità di documentare il patrimonio culturale non è corrisposta, nei primi decenni della fotografia, da parte di chi la praticava un’adeguata consapevolezza del proprio ruolo. Una seconda strada era costituita dalla scuola del fotogiornalismo, che funziova secondo schemi limitativi. Il fotogiornalismo inteso in modo attuale nasce in Italia solo nel secondo dopoguerra, prevalentemente dall imput dato da un giornale che si chiamava ‘’Il mondo’’, diretto da Mario Pannuzzo. Il ‘’Mondo’’ era una specie di laboratorio che promuoveva una nuova forma di giornalismo e un nuovo tipo di approccio all’immagine. Il giornale non era più solo qualcosa da leggere ma uno strumento di comunicazione. E’ quindi, dal dopoguerra in poi che il fotogiornalismo italiano ha un suo sviluppo segnato da alti e bassi acneh se in questo periodo c’è un ridimensionamento di interesse nei confronti del reportage, questo è dovuto alla diffusione delle notizie e delle immagini attraverso la televisione che avviene in tempo reale. Un tempo

l’avvenimento di ciò che accadeva nel modno era mostrato attraverso la fotgorafia. Oggi questo è impensabile, l’accelerazione imposta dalla televisione ha provocato una crisi del fotogiornalismo e lo ha spinto ad esplorare nuovi settori ad edempio il foto-documentarismo rispetto alla cronaca. Quest’ambito rappresentava la seconda scuola della fotografia italiana e nonostante il suo cambiamento è uno dei ruoli importanti della fotografia. Di fatti la maggior parte dei libri scritti dal secondo dopo guerra mostravano immagini ed erano firmati da autori che si occupavano di fotogiornalismo. I fotoreporter disponevano di un ampio territorio da indagare di fatti si allontano un po' da regole artigianali. Esiste un terzo settore quella della fotgografia d’autore, questa include quei personaggi che non possono fare della fotografia la lora attività primaria. La fotografia rimane all’interno di un ambito dilettantesco e si inserisce all’interno di una dimensione molto più personale. Il foto-amatorismo è un’altro filone molto importante, tralaltro sono stati ritrovati dei reperti fotografici di moltissime persone che intorno agli anni 50 partecipavano a concorsi, ed è accuduto spesso che molti fotografi dopo aver partecipato a questi concorsi decidessero di fare un salto e dedicarsi alla fotografia senza relazioni con la cultura o con il mondo professionale. Dall’ambito fotoamatoriale sono usciti grandi nomi tra cui Gardin che faceva parte del circolo ‘’la gondola’’, Roiter, Branzi. I circoli fotografici, se pur visualizzati come un qualcosa di categoria B ebbero un importante ruolo. I circoli fotografici erano qualcosa di simile alle accademie autogestite, autocostruite che non sempre comunicavano con il paese. Erano, dunque, questi i 3 grandi filoni della fotografia italiana. Fino alla metà degli anni 70 non è esistita una scuola di fotografia. La prima scuola di fotografia in Italia è nata all? Università di Parma. La formazione di Ghirri nasce in modo rudimentale attraverso una frequentazione dell’immagine, fin dall’inizio orientata ed esplicata all’interno del mondo dell’arte, ed è proprio all’interno di questa matrice concettuale che nasce la fotografia sperimentale alla quale Ghirri è fortemente interessato. Cominciando a collaborare con aritisti che avevano bisogno dell’immagine fotografica. La sua fotografia veniva utilizzata come opera non finita ma come opera in quanto tale. Ghirri si rende conto che se voleva una professione all’interno della fotografia doveva cercare, indagare molto più vicina al modo di procedere del fotoamatore che al professionista. L’IMMAGINE IMPOSSIBILE Con il passare del tempo Ghirri si rende conto che l’unica soluzione praticabile fosse quella di raggruppare queste figure anche perché trovava assurdo che un fotografo dovesse occuparsi solo di un solo genere. Tralaltro stava crescendo anche l’interesse da parte delle committezze di fotografi che non si basasse solo ed esclusivamente sulla tecniche. Era, però difficile da accettare anche una figura marginale come quella del fotoamatore. Da parte della committenza c’era l esigenza di trovare nell’ambito della fotografia persone capaci di relazionarsi con il mondo. Ed è proprio da questo punto che inizia il lavoro di Ghirri che prevalentemente si è esplicato nelle esposizioni, collaborazioni, ricerche sul territorio, sul paesaggio in relazione all’ambiente. Era una ricerca combinata che veniva definita come ‘’fotografia d’autore’’, il che significa che il fotografo agisce come una persone portatrice di una sua competenza, professionalità, e ricco culturalmente. Però questo aveva anche una connotazione negativa perché nel momento in cui veniva commissionato un lavoro l’autore si poneva in maniera codificata. Ghirri guarda alla fotografia come ad un modo di relazionasi con il mondo, nel quale il segno di chi fa fotografia è forte ma deve orientarsi verso l individuazione di un punto interiore ed esterno. Ghirri pensa alla fotografia come uno strumento tramite il quale trovare l’equilibrio tra mondo interno ed esterno. Egli ritiene sia necessario relazionarsi con il modno, dimenticandoci un po' di noi stessi, e crede che questa forma di elasticità sia necessaria per avere accesso alle immagini e rapportarvisi in modo innovativo. In molti hanno cercato di definire la fotografia ma Ghirri ritiene che essa non abbia bisogno di nessuna definizione, perché si tratta di un immagine nuova per la storia dell umanità. Se pensiamo

casi luce aggiunta, non si tratta di chi sia migliore o meno si tratta del rapporto di conoscenza con il luogo e con la sua rappresentazione. L’equilibrio si costruisce anche su fatti minimi come l’attenzione per la luce, come il fatto di riuscire ad individuare il momento in cui si intravede la luce del cielo. Questo rapporto, l’attenzione per e con la luce viene mostrato da Ghirri attraverso la dimostrazione di alcune fotografie, in cui utilizza formati diversi, pellicole diverse, in cui si avvicina sia alla luce diurna che alla luce artificiale notturna. MATERIALI E’ però anche importante tenere in considerazione gli aspetti tecnici da conoscere come pellicole, sensibilità. Esistono 2 tipi di pellicola: una invertibile e una negativa. Invertibile è la diapositiva. Che differenza c’è tra diapositiva e negativo? La diapositiva, per ghirri è un materiale che va proiettato e non stampato. La resa ottica è proprio quella della proiezione. L’editoria ha preferito la fornitura di diapositive che avevano una resa migliore rispetto alle stampe. Il negativo ha una morbidezza e una saturazione cromatica più fedele che si avvicina di più alle sfumature che i nostri occhi vedono. La fotografia dilettantesca preferisce le diapositive percjè hanno un colore più saturo. Il negativo è più rispondente alla realtà. Esistono, sia per la diapositiva che per il negativo 2 tipi di pellicole: una per la luce diurna e una per la luce artificiale. E’ possibile utilizzare filtri al momento della ripresa. Mentre per quanto riguarda il negativo una correzione è sempre possibile. Per la misurazione della luce Ghirri utilizza l’esposimentro delle reflex, bisogna anche tenere in considerazione la messa a fuoco e la profondità di campo. Nella fotografia scenografia di Aldo Rossi Questa fotografia è fatta con la pellicola diapositiva perché era destinata a una pubblicazione. Il soggetto è una scenografia di Aldo Rossi per la Lucia di Lammermoor al Ravenna Festival. L’ambientazione era bella ma la luce non lo convinceva così ha aspettato il momento successivo al calar del sole, si crea un rapporto tra scenografia quindi qualcosa di statico e il leggero movimento dato dall utilizzo dei tempi. In questo caso ha utilizzavo una diapositiva perché aveva problemi di tempo. Per lui il problema principale rimane relazionarsi con l’esterno. RICERCHE LAC LEMAN Questo lavoro è stato fatto sul lago di Ginevra, in collaborazione con fotografi e scrittori. Il Lemano come altri luoghi dell europa è uno spazio carico di storia e di segni precisi importanti all interno dela storia e della cultura. Il lavoro si sviluppava in una 30 di tavole, ghirri ha preferito concentrarsi su un punto preciso Yvoire, sulla porta francese e di lavorare all interno di questo spazio che comprendeva particolari costruttivi e decorativi. Il discorso sulla luce e alla mescolanza di diversi tipi di luce in questa immagine è evidente, la luce del lampione mostra una dominante verde, la luce delle lampade allo iodio ha una dominante arancione e la luce del tramonto ha una dominante diversa. In quest’immagine torna anche il discorso del mosso. Ghirri considera questa foto fortunata, è visibile il secondo piano ben illuminato, il lago è appena disegnato, scompare nella saturazione cromatica e dunque nella percezione totale dell immagine. La foto è stata scattata un attimo dopo il tramonto. Molte delle foto presenti in questo libro sono state scattate prima o dopo il tramonto ed alcune di notte. Il notturno cancella molte cose, tanti piccoli difetti dell’ambiente e permette una forma di pulizia della rappresentazione che può esse funzionale. Ed è un’indagine sulle zone di passaggio riferita alla luce e alla saturazione cromatica. ESTERNO, INTERNO ITALIANO Questa serie di fotografie fa parte di un lavoro, che si chiama interno italiano. Si tratta di un indagine su luoghi più o meno celebri, sul modo di vivevere l ambiente è un lavoro sull abitare in senso lato. Ghirri scegli di non usare mai una luce troppo crude, ma tende ad una maggiore distante

e attenuazione. Le sue fotografie sono per certi aspetti, rispetto a queste, meno curate. E’ sufficente che mostrino tutto ciò che esiste all’interno di una stanza, tutto sommato il problema della presentazione, della percezione di uno spazio all’interno di una casa è risolto. Nelle riviste di arredamento l’ambiente viene totalmente ricostruito dal fotografo. Diventa una vera e propria natura morta, non è mai la fotografia di un interno di un vissuto ma diventa uno spazio espositivo da mostrare in una rivista. In queste foto non è stato spostato nemmeno un oggetto. Un dato importante in questi casi è la resa della luce naturale, da un lato c’è la luce del neon e dall’atra la luce è naturale. I soggetti di queste riprese erano anche luoghi molto carichi. Altri luoghi ritratti in Interno italiano erano camere da letto: la prima è stata ripresa qui vicino Reggio Emilia, la seconda in Puglia. Queste immagini riprendono una tradizione iconografica, un aspetto della memoria collettiva. E’ evidente il richiamo non tanto al passato quanto piuttosto ad un certo modo di vivere. Il lavoro interno italiano comprendeva anche alcune vere e proprie nature morte, come ad esempio lo studio di Giorgio Morandi, tutto era lasciato com era dalla sua morte e sembrava che lui fosse ancora li. Il discorso delle tonalità, è necessario ci sia un rapporto cromatico equilibrato che possa restituire l’idea o la suggestione di determinate cose. Il suo modo di agire riguarda più un togliere che un aggiungere sia dal punto di vista del contenuto dell inquadratura sia nel tentativo di spogliarsi il più possibile per arrivare ad una forma di comunicazione semplice. Si tratta di un lavoro importante anche a livello affettivo con il pittore. Qui è tutto perfettamente a fuoco , volevo questo risultato perché Morandi non ha un segno molto preciso, il suo modo di vedere è quotidiano. Comprendere ha significato, in questo caso, misurarsi con un immagine distante. Molti hanno detto che queste foto sembrano quadri, ma il problema non è farle sembrare quadri perché sembrano dipinti, bensi rapportarsi con una rappresentazione che ha dei presupposti scenografici di questo genere,. Il pittorialismo, che è un genere nato e diffuso tra il 189 e gli anni 20 e 30 è stato da una parte un importante banco di prova per la fotografia e al tempo stesso una grande limitazione delle sue potenzialità di ricerca. Tanti fotografi rifacevano i quadri del 400 e 500. Abbiamo un esempio nella produzione di Guido Rey fotografo italiano che rifai quadri di Vermeer. Secondo il punto di vista di Ghirri il gioco dellla contemporaneità, ella modernità si rivela molto di più nel comprendere, all interno di un certo tipo di espressione artistica. Non si tratta di scimmiottare un linguaggio ma di instaurare una relazione, proprio perché ormai le immagini sono diventate costellazioni di significati. Al giorno d’oggi viviamo bombardati dalle immagini, il nostro modello porta una visione accelerata anche se non è detto che all’interno dell immagine riusciamo a leggere in profondità. Anche quando si parla di cinema, fotografia, pittura capita di parlare della sensazione di dejavu, che è da considerarsi come un qualcosa che richiama un contatto con l’inconscio collettivo. Questa caratteristica si ritrova in molti linguaggi aritistici. Ghirri realizza degli scatti fotografici strettamente ricollegati all’ambiente studiando anche la messa a fuoco, lo sfocato portando l’osservatore a leggere in modo chiaro l’immagine. Ci spiega che al giorno d’oggi, a suo parere uno dei maggiori problemi riguarda l’ambiente, il fatto che ci muoviamo all’interno di un disastro visivo colossale. I segni si moltiplica e sono in conflitto tra loro. Lavora molto sull’ambiente ma non fa un discorso polemico, piuttosto un discorso di critica intesa come nodo dialettico, non si tratta di foto di denuncia, entra in relazione con uno spazio, con un oggetto, con una stratificazione di cose cercando di scavare in profondità. Ghirri crede che rispetto ad altri sistemi di registrazione della realtà la fotografia abbia uno spazio minore rispetto a circa 30 anni fa. Il ruolo che oggi ha la fotografia, da un punto di vista comunicativo è quello di rallentare la velocizzazione dei processi di lettura dell’immagine. Rappresenta uno spazio di osservazione della realtà. Ad oggi ci troviamo di fronte a delle immagini in cui la presenza umana è onnipresente, nelle foto di Ghirri questo non avviene, soprattutto in questo suo studio per il paesaggio, lui vuole richiamare l’attenzione sull’ambiente, ed è proprio relazionandosi all’ambiente, ai luoghi meno noti che nasce Viaggio in Italia. Voleva sottolineare la necessità di relazionarsi con l’ambiente.

vicolo cieco, di aver esaurito la ricerca. Allora cambia il formato della macchina fotografica gli ha permesso di rapportarsi in modo diverso anche con altri oggetti all interno di spazi determinati e connotati. Un lavoro diverso si può trovare in vedute con il quale Ghirri riflette sul modo di vedere, in questa seria ci osno immagini che non si esauriscono all’interno di un solo lavoro. A volte si delinea un lavoro tematico, gli alberi, le giostre ma alla fine le serie si intersecano sempre. Poi ci sono ricerche come ‘’Vedute’’ che non hanno una catalogazione precisa ma costituiscono uno stimolo per sviluppi futuri. In questa serie si interessa moltissimo alle inquadrature naturali, preferiva trovare immagini nella realtà, nello stesso modo in cui aveva cercato fotomontaggi. Nel libro di Parma, troviamo una parte del lavoro sul cielo, che prende il nome di Infinito, una piccola selezione di un lavoro composto da 365 fotografie. L’ultima ricerca di quel periodo p il lavoro sull italia in miniatura intitolato in scala. Aveva in mente la realizzazione di una specie di olografia dell italia, una visione tridimensionale, a questo punto lo scarto tra realtà e la sua rappresentazione è ridotto al minimo. E un lavoro che rivela un po' di schematismi, Non si coglie più lo scarto tra il grande e il piccolo. Infine vi presenta alcuni lavori di Still life un lavoro che costituisce una sintesi di tutta la storia dello studio di Ghirri. Qui erano le immagini in quanto tali ad agire e interagire. Erano tutte immagini trovate per strada, quasi dei musei immaginari, tridimensionali, all’aperto. IL LABORATORIO Ghirri decide di fare con gli studenti un lavoro sull ambiente a Reggio Emilia, portando delle fotografia che risale a 70-80 anni fa e proverà a relazionarsi con queste immagini attraverso la trasparenza. Come si può fare? Utilizzando un fondo al quale inserire la stampa del passato e poi un fondo mobile, come fosse un piccolo libro, costruito a partire da un immagine trasparente. Diventa interessante anche vedere il rapporto tra due tecniche la scrittura in bianco e nero del passato e il colore dell’epoca moderna. Quindi si userà il colore attraverso la trasparenza. MACCHINE La dimensione dell immagine del negativo chiamato 35 mm è identica per le compatte, le reflez anche se alcune sembrano più voluminose. Rispetto a quelle compatte nelle quali tutti gli elementi sono incorporati, non si può sostituire l’obiettivo, le altre macchine si differenziano per il modo di vedere attraverso la macchina. Ci sono macchine con il mirino telemetro. Significa che quello che vediamo dal mirino non passa attraverso l obiettivo. Al contrario in una reflex noi vediamo tutto quello che viene registrato sulla pellicola. Questi dettagli sono significativi perché dal nostro punto di vista, significa che la relazione che instauriamo con la realtà è condizionata anche dal modo di inquadrare. Con alcune macchine vediamo quello che vogliamo fotografare sul vetro smerigliato, con altre dobbiamo guardare attraverso il mirino. Il mirino telemetro ha una peculiarità: mentre nel mirino della reflex noi vediamo un prisma che ci mostra qualsiasi ostacolo davanti all’obiettivo, con il mirino a telemetro continuiamo a vedere il quadro anche se l’obiettivo è otturato. Questo permette una maggiore velocità di azione rispetto alla reflex, nella quale occorre agire sulla messa a fuoco un po' come si opera su un binocolo. Molti grandi protagonisti del fotogiornalismo usavano questo mirino, uno dei maggiori autori è Bresson che ha sempre usato macchine a telemetro. L’introduzione della reflex ha rappresentato una grande rivoluzione perché permetteva il cambio delle ottiche, cambiando l’obiettivo, si vede nel mirino quello che viene registrato dalla pellicola, e questo permette di controllare la messa a fuoco, l inquadratura. La Rollei è una vecchia macchina progettata negli anni 20 e 30. Ha una limitazione, ha due obiettivi: uno per registrare l’immagine sulla pellicola e l’altro della stessa lunghezza focale per vedere quello che si sta fotografando. Il

vantaggio della Rollei è che il formato quadrato del fotograffa elimina il problema della orizzontalità e della verticalità dell’immagine. La macchina fotografica funziona come il nostro occhio, se c e molto buio non non ce ne accorgiamo ma le nostre pupille si dilatano per far arrivare più luce sulla retina, al contrario se c’è troppo sole si restringono. Abbiamo un esposimetro interno, biologico che ci consente di equilibrare i valori di luminosità. La macchina fotografica non è nient’altro che una trascrizione meccanica di quello che fa il nostro occhio abitualmente. I due meccanismi sui quali è possibile agire per regolare l’equilibrio della luce sono diaframma e tempo di posa, Quindi il problema è quello di regolare un insieme di relazioni. Profondità di campo, tempo, apertura diaframma, velocità della scena da rappresentare sono questi i 4 i piccoli grandi problemi. Ci sono le macchine automatiche che aiutano ma è necessario avere conoscenza. Un altro discorso si fa in relazione alle pellicole che con il passare del tempo scarseggiano, soprattutto rispetto alle pellicole in bianco e nero. Le macchine autofocus hanno la loro funzione di approccio divulgativo all immagine, anche nell’uso del fotoricordo. Queste macchine piccole hanno una velocità di operatività straordinaria per catturare un determinato evento. Un altro strumento interessante è la Polaroid. Fa tutto la macchina: mette a fuoco, calcola tempi, diaframmi, esposizioni. In questo casa cambia il linguaggio, siamo di fronte all’istantaneità che fa diventare la fotografia un appunto. Secondo Ghirri il passaggio ha aperto una crisi sostanziale, inserendo la fotografia in un circolo pericoloso, a definire questo è stata l’introdzione della Reflex perché si è attuata una grande semplificazione che ha cancellato la professionalità. La stampa serve come test: si provano le lci, la scena. Praticamente serve per avere una previsione di quello che sarà la fotografia finale, che verrà poi realizzata con il materiale fotografico classico. Ci sono pellicole molto lente, che vanno dai 25 ai 100 asa, pellicole medie vanno dai 150 ai 400 a pellicole ultrasensibili che vanno dagli 800 ai 1000. Una pellicola veloce ha bisogno di un tempo di esposizione breve, questo condiziona una serie di relazioni, anche in considerazione di un altro dato legato alla sensibilità: le pellicole lente sono molto più precise e definite. Per una precisa resa dei dettagli, si usano pellicole lente. Naturalmente quando introduciamo la pellicola nella macchina dobbiamo ricordare di controllare la taratura dell esposimetro sia automatico che manuale. ESPOSIMETRO Il problema principale riguardo l’esposizione, è trovare un punto di corrispondenza tra luminosità dell ambiente e luminosità del soggetto che dobbiamo ritrarre. Guardando la costruzione, la composizione di un immagine, possiamo valutare il tipo di attenzione nei confronti di un soggetto, il modo in cui questo risponde alla luce, la maggior o minor cura nell inquadratura, la profondità di campo, la messa a fuoco solo del soggetto principale allargat allo sfondo. Tutti questi elementi, presi singolarmente e in rapporto tra loro hanno una loro importanza. LA scelta dell’obiettivo indica lo spazio del fotografo nei confronti del soggetto. Le scelte di esposizione non sono finalizzate solo a mostrare o a nascondere gli elementi della scena, ma anche ad ottenere una corretta risposta di colore. NON E’ VENUTA COME VEDEVO Una fotografia appare sempre diversa da quello che si vede nella realtà. Non è solo più chiara o scura non registra le correzione che il nostro sguardo mette in atto. Quindi il fotografo per restituire la complessità di quello che vede deve sopperire a questa rigidità della macchina che ha una gamma di possibilità di risposta molto ampia ma non costante, lineare e automatica come quella dell occhio umano. Tra quello che si vede nella realtà e ciò che appare in una fotografia c’è sempre uno scarto. C’è una variazione di scala, differenza di proporzione.

Nella camera oscura l’immagine passa attraverso l’obiettivo, con uno specchio viene ribaltata sopra una tavoletta in vetro trasparente sulla quale appoggia il foglio da disegno: l immagine viene tracciata ricalcando la proiezione sul foglio. Con questa tecnica era stata realizzata la veduta di delft di Vermeer. Sembra essere un panorama classico fatto con la macchina fotografica, con il temporale, le luci e probabilmente dipende dal fatto che ttto questo mondo era elaborato all’interno di una visione ulteriore rispetto alla pittura precedente, che era quella delle camere oscure possiamo chiamarle anche camere ottiche. L’uso delle camere ottiche aveva prodotto altri effetti, aveva innescato nuovi meccanismi di rapporto e rappresentazione dell immagine. Tra 700 e 800 spopolano le silhouette che erano un altra modifica delle camere oscure: il disegnatore vedeva il profilo proiettato sul foglio sul quale veniva delineata la silhouette. Utilizzando questo sistema Lavater, uno scienziato ha pubblicato un opera di 12 volumi. 1826 in questa data viene realizzata la prima fotografia da Niepce, si riconcilia la nascita della fotografia con il 1839 ma alla scoperta della fotografia sono arrivati diversi personaggi. Niepce è stato il primo a fissare l immagine su una lastra posta all interno di una camera oscura, ha inserito la lastra ed ha lasciato impressionare la veduta per un tempo di 8-9 ore poi con differenti processi chimici è arrivato ad ottenere questa immagine che appena si intravede. Un’altra figura importante è quella di daguerre, egli arriva alla fotografia attraverso ricerche alchemiche. Era in contatto con Niepce ed era anche un pittore, realizzava grandi scenografie che presero il nome di Diorema. Gaguerre con un procedimenti chimico arriva ad ottenere immagini che prendono il nome di dagherrotipo: piccole fotografie impresse su una lastra di metallo sensibilizzata, sulla quale agiva lasciando un segno del suo passaggio. Una delle prime foto è la veduta del Boulevard de Temple presa a Parigi con una posa relativamente breve. Mentre la posa di Niepce era lunga circa 8 ore, Daguerre riesce ad ottenere un immagine in pochi miniti. Nella foto c’è un lustrascarpe che probabilmente era rimasto in posa per qualche minuto. Per la prima volta appare una figura umana nella fotografia. Il luogo sembra deserto: con le pose lunghe le persone che passano non vengono registrate perché il tempo del passaggio è troppo veloce rispetto al tempo di posa. I dagherrotipi erano immagini negative e positive, nel senso che la lastra sotto una determinata angolazione di luce si vedeva un’immagine negativa, mentre inclinandola diversamente si vedeva in positivo. Daguerre, per primo riesce a fissare la realtà attraverso un sistema tecnico-ottico in modo preciso, definito analogico. Il dagherrotipo assume una fama incredibile e dopo qualche anno è possibile ridurre anche i tempi di posa, alcuni di questi sono anche confezionati in scatolette prezione, vengono colorati a mano. Pià o meno in quel periodo l’inglese Talbot comincia a pensare ad un sistema di utilizzo dell’immagine negativa. Dopo diversi anni nel 1844 pubblica il lavoro The pencil of nature, il primo libro illustrato con fotografie stampate. Ad un certo punto Talbot scopere come ottenere delle immagini appoggiando un oggetto, una foglia sulla carta sensibile, se il materiale è trasparente riman visibile la grana dell’oggetto. Talbot è il primo a mettere a punto questa tecnica che poi verrà usata anche dai dadaisti (Man Ray). Con la scoperta di Talbot vengono messi in evidenza i dettagli delle immagini. Questa definizione viene data anche dal grande formato. La macchina fotografica come la conosciamo noi per il formato 24x36 nasce nel 1915-16 Prima esistevano apparecchi con il panno nero, all interno dei quali venivano inserite lastre di grande formato. Inizialmente i tempi di posa erano davvero lunghi infatti poi dovevano intervenire anche i fotoritoccatori. La velocità ferma l’immagine ma non consente alla luce di lavorare in profondità. Da subito la fotografia sviluppa 2 filoni, uno rigarda uno sguardo nuovo, di meraviglia nei confronti del mondo, del paesaggio, dell’architettura dall’altro tende alla creazione di un catalogo e di un nuovo modo di vedere l’umanità. Presto però non ci si accontenta più della fotografia in bianco e nero e con piccoli accorgimenti chimici si comincia ad alterare cromaticamente l’immagine La varietà di sfumature cromatiche utilizzate in fotografia è un aspetto incredibile e affascinante dell’immagine 800 esca. Inizialmente le fotografie in bianco e nero venivano poi successivamente colorate a mano. Emerge una visione del mondo candida, una grande pulizia percettiva. Inizialmente c’è la paura di proporre un semplice duplicato della realtà di non essere arte. Quindi immediatamente il fotografo si pone dei problemi, ma di inseguimento della possibilità di uscita

dagli schemi. Poi arrivano gli americani, e per loro la macchina fotografica diventa uno strumento per appropriarsi del territorio. Succede che i fotografi, soprattutto autori come Sullivan, Jackson, Gardner cominciano a vagare alla scoperta di territori incontaminati per ritrovare le bellezze d’America. In America, in assenza di una tradizione i fotografi cominciano per primi a scrivere la storia dell’america. La storia dell immaginario americano e dell america è una storia scritta e costruita attraverso l immagine fotografica e successivamente cinematografica. L’Italia da Giotto ai pittori del 700 aveva una tradizione di descrizione del territorio una storia della visione del paese. L’america non possedeva una storia di questo tipo anche la tradizione pittorica rivelava in questo senso una certa debolezza. I fotografi americani iniziano a documentare gli avvenimenti, le prime guerre. Spesso nei film di guerre compaiono dei fotografi uno di questi è Brady che ha documentato tutta la guerra civile ed è forse il primo fotoreporter di guerra della storia. Un altro importante capitolo, documentato dalla fotografia è la costruzione delle ferrovie. Se si scorre la fotografia americana dell 800 si ha l impressione di sfogliare l’album della vita di un popolo. Al contrario, se guardiamo la fotografia italiana dell 800, il nostro concetto di storia è fatto di immagini di monumenti e rovine. LA fotografia diventa un sistema per confermare la storia, mentre per l’america si tratta di dare storia a un paesaggio che non ha storia. L’europa ha un paesaggio iperstorico. C’è sempre stata nella fotografia americana un attenzione alla contemporaneità del paesaggio, al presente che è quasi estranea alla fotografia europea. Nella fotografia italiana e soprattutto in quella tedesca prevale lo sforzo di inserirsi nella storia dell’estetica in una tradizione. Questo rapporto costante della fotografia americana con il paesaggio naturale è un dato interessante. Tutta la fotografia è segnata secondo Ghirri da un rapporto stretto con il mondo esterno ed è tralatro uno dei più grandi interessi dell’antropologia. In un esempio di Edward Curtis (lavoro sui pellerossa), era probabilmente la prima volta che gli americani avevano la possibilitàà di vedere le fotografie dei nativi del paese. Un modo per aprire gli occhi sul mondo. La fotografia a colori è nata nell 800. I primi a lavorare con la fotografia a colori sono i fratelli Lumier, gli inventori del cinema. C’è sempre stata connessione tra foto e cinema. Muydbrige viene maggiormente considerato nella storia del cinema che non in quella della fotografia. Per stampare i colori voi sapete che si utilizza una matrice, con un procedimento per il quale i colori passano separatamente. Sin dall’inizio la fotografia a colori si impiega un sistema analogo. Per quello che riguarda la fotografia a colori, nella fotografia delle origini ci sono delle cose di una bellezze straordinaria. Queste rivelano un’attenzione particolare al cromatismo, che negli anni a seguire evolverà in una seria di procedimenti di tipo industriale. In queste primi immagini possiamo notare una relazione tra queste fotografie e l’impressionismo dato dai colori e dalla grana. Il rapporto tra pittura e fotografia, soprattutto nell 800 è un nodo importante. Un esempio è il ritratto di Baudelaire fatto da Nadar. TRASPARENZA Una possibilità di sviluppo del lavoro è quella delle immagini da riprendere attraverso schermi trasparenti, utilizzando 3,4 immagini di Reggio da sovrapporre alle riprese. Molto semplice basta un cavalletto. Potrebbero essere due foto, una del soggetto come era in passato e una di come è adesso. Poi si deve sovrapporre in trasparenza un’immagine stampata su acetato o su doppio acetato ci permetterà di vedere attraverso una fotografia. Sul tema della trasparenza si può fare di tutto: una finestra possiamo riprendere sia il discorso sulle ombre o trasparenza e svilupparli attraverso i vetri o attraverso reticolati. Il paesaggio rovesciato è esperienza del trasparente globale non vediamo il prodotto finito ma si iniia un percorso di avvinamento alla trasparenza. Un’altra ipotesi: adoperiamo un proiettore, proiettiamo sulla lavagna uno dei paesaggi e lo fotografiamo, una diapositiva che prenda un po' del termosifone, un po' della lavagna, un po' dal muro è anche quello un modo di guardare per trasparenze. Ghirri propone un esercizio all’interno del quale inserire una serie di diapositive da vedere in trasparenza con tutti i paesaggi realizzati sul tema della trasparenza. Propone di realizzare un tabellone 50x70 fatta con diapositive con telaietti, si mettono insieme si

all’interno del paesaggio come architetture o città. Non si tratta di un problema di quinte sceniche, il problema è dare un percorso e ordinare lo sguardo verso una certa direzione. Elementi che funzionano in questa direzione sono presenti in molti oggetti architettonici, anche una struttura vuota può funzionare come un mirino, come un’inquadratura naturale. Questo risulta ancora più chiaro se accostiamo una rappresentazione pittorica ad una fotografica. In questa rappresentazione di un tipico paesaggio italiano, la staccionata segna l’accesso alla proprietà ma allo stesso tempo indirizza lo sguardo all’interno del paesaggio. Se ci concentriamo sul tema della ‘’soglia’’, pensandolo come elemento del linguaggio fotografico, quindi inquadratura fotografica e il quadro troviamo nella natura e nel mondo esterno in generale molti possibili elementi utili per un lavoro di ricerca e per un lavoro progettuale interessante e stimolante. Il problema è superare la semplice riproduzione della soglia e farla diventare un elemento dello spazio e del tempo, soprattutto dello spazio, un elemento di accesso alla visione del mondo esterno o a un determinato modo di rappresentare il mondo esterno. Questo deve emergere in 2 direzioni: attraverso la scelta dell’inquadratura fotografica e attraverso la scelta dei luoghi da riprendere, ricordando che la fotografia è un dispositivo di selezione e attivazione del campo di attenzione. Quindi si tratta di attivare un campo di attenzione diverso, a quest’attivazione successivamente verrà quello della rappresentazione fotografica in cui non sarà fondamentale l’ossessione per l’inquadratura gradevole anche se la finestra rappresenta una delle inquadrature naturali più facili ed immediate. Al MOMA di NY c’è stata una mostra dal titolo specchi e finestre, che tendeva a dimostrare una dialettica costante tra l’interno e l’esterno e un’opposizione tra la fotografia come specchio del mondo oppure come finestra sul mondo. La mostra testimoniava che nella fotografia c’erano due filoni che consistono nel farsi specchio della realtà e nell’essere finestra sul mondo. Ghirri ritiene che nella realtà ci siano tanti mirini e tante finestre già delineate. Possono essere il televisione, lo schermo del cinema. Anche uno schermo cinematografico può diventare un mirino. Il fotografo di moda Christian Vogt si portava in giro per il mondo una cornice con un supporto. Metteva la cornice, la macchina in quella posizione e mostrava che c’era sempre unteriore inquadratura. Dunque la scelta dell’inquadratura è un lavoro profondo sul sistema di rappresentazione, sulla scoperta di una realtà che è presente all’interno della realtà. Insomma la fotografia consiste essenzialmente in due cose: prima di tutto nel riuscire a capire cos’è necessario ad includere all’interno dell’immagine. Il secondo aspetto riguarda il come riuscire a dare a questo ritaglio del mondo esterno, attraverso il rapporto con la luce, lo spazio, con una sua valenza comunicativa. Ci sono due problemi quello della forma della soglia e quello del formato della fotografia. Il provlema di quale forma scegliere per rappresentare correttamente una parte di mondo veniva risolto nei modi più vari. All’interno dell’inquadratura c’è anche la cancellazione, dunque comprendere cosa inserire o meno, questo punto è il problema centrale di tutta la foto. Esistono dei codici: a proposito di inquadrature e di problemi a esse connessi forse anche su qualche rivista di moda, un sottile bordo nero intorno alla fotografia. Con questo segno il fotografo indica che è stato stampato il negativo per intero. Stampando il negativo con un po' di bordo il fotografo ci dice che non ha alterato il contenuto dell’inquadratura. Sono stato fatti diversi studi sulla visione ed a grandi linee si può dire che il nostro sguardo è più direzionato a guardare in modo orizzontale e i formati delle macchine rispettano questo modo di vedere però non è detto che la mia percezione non possa cambiare ad esempio un piatto si vede rotondo perché è rotondo. Ci sono però dei dati di tipo pratico: la pellicola impone il formato rettangolare, le macchine sono rettangolari però, ad esempio se volessi cambiare la percezione potrei fare una foto rettangolare e inserire una mascherina ad esempio disegnare un cerchio su un foglio di carta e utilizzarlo in fase di stampa: in questo modo la fotografia diviene rotonda. Anche le immagini televisive, cinematografiche sono orizzontali si crea infatti un’assuefazione, un uniformità di sguardo nel quale l’orizzontalità dell’immagine diventa prevalente. Il fotografo lavora spesso con dei vincoli dovuti alla destinazione dell’immagine. Il problema della forma di base dell’immagine fotografica era importante e vasto ma adesso si sta assottigliando. Con le foto elettroniche non avremo più la possibilità di vedere o di intervenire sul taglio delle fotografie, le

immagini passeranno da un disco allo schermo e direttamente ad una stampa standardizzata. Questo è il punto sul quale dobbiamo puntare, quindi bisogna riappropriarsi della possibilità di intervenire nei confronti del mondo esterno in modo articolato. MISURAZIONI Il problema della luce è quello di riuscire a fare un utilizzo libero, libero rispetto ad un tipo di fotografia corretta dal punto di vista professionale e tecnico, come ad esempio quella delle immagini che vediamo nelle riviste di arredamento o design. L’alternativa è quella di realizzare un’immagine più ‘’normale’’ perché sappiamo che la luce della fotografia non è la luce della realtà. Il flash in certi casi è utile, in occasioni particolari, mentre in altri è inutile. Esso è utile nel momento in cui ci sono delle ombre fastidiose bisogna però anche fare i conti con la sensibilità della pellicola. Noi dobbiamo utilizzare la nostra sensibilità in relazione alla sensibilità della pellicola ed è questa la chiave di lettura della fotografia. Dobbiamo anche considerare che abbiamo i nostri occhi che di per se ragionano in modo automatico di conseguenza schiariscono ciò che c’è da schiarire la pellicola no. Quindi il problema è riuscire ad interagire con la pellicola. Per quanto riguarda il pensiero Ghirriano, egli privilegia un risultato naturale pur sapendo benissimo che la fotografia è artificiale. E’ anche chiaro che un intervento sulla realtà è già costituito dalla scelta dell’inquadratura questo discorso è legato al discorso dedicato alla nostra attenzione, della soglia non solo come delimitazione fisica di uno spazio ma come combinazione di tanti fattori di percezione della realtà. SOGLIA, INQUADRATURA L’inquadratura può essere fatta anche di elementi naturali, come alberi oppure essere resa in modo più preciso e rigido da elementi come ad esempio una finestra. La fotografia essenzialmente riguarda di un giusto e corretto rapporto tra spazio e tempo. Tra spazialità dell’esterno e tempo di realizzazione dell’immagine. Il discorso della soglia rischia di essere eccessivamente semplificato. Esiste la soglia fisica, come ad esempio l’immagine di un luogo visto attraverso una porta con un’idea di accesso. Mettendo in relazione, all’interno di un immagine, di un oggetto di questo tipo con tutto lo spazio circostante possiamo accentuare un interesse e indirizzare un’operazione di approfondimento. Il discorso della soglia può essere sviluppato in tanti modi, può appartenere e appartiene a tanta produzione fotografia. Come ad esempio fotografia degli anni 50-60 nelle quali compaiono un ramo di un albero o una siepe in primo piano. INTERNO, ESTERNO Esiste la soglia fisica, come l’immagine di un luogo visto attraverso una porta. Quello che Ghirri vuole riuscire a fare con i suoi studenti è quello di riuscire a lavorare con la fotografia in modo libero, non rigido. Non significa avere un rapporto dilettantesco. Si tratta di privilegiare la ricerca anziché obbedire a regole fisse. Obbedire solo a regole fisse si arriva alla fotografia di tipo industriale o alle fotografie, da catalogo commerciale: qualsiasi oggetto viene fotografato in studio, nello stesso modo e con la stessa illuminazione. La consuetudine con il lavoro in esterni porta ad attivare un differente tipo di attenzione, di sensibilità nei confronti degli oggetti e della loro collocazione nello spazio, molto più accentuata che supera le regole schematiche della fotografia industriale o della fotografia di atelier. La differenza principale è che in esterno ci si abitua a percepire l’importanza delle variazione della luce. Perchè la luce varia. Al contrario nella foto industriale la luce deve essere il più uniforme possibile anche attraverso dispositivi artificiali tipo maschere o filtri. Ogni tanto possono essere utilizzati degli oggetti per nascondere qualcosa che non riteniamo importante come nella realizzazione di foto 131, realizzata da Ghirri a Caserta, in questo spazio bianco viene inserito un albero, lievemente sfocato ed ha giocato sulla profondità di campo.

sempre un modo per aprirsi alla luce in modo che l’immagine e lo sguardo dello spettatore sia relegato al soggetto, alla fotografia, sembra che il bordo nero chiuda completamente l’immagine a differenza di quello bianco. Dalla nascita della fotografia ad oggi sono stati elaborati metodi classici di presentazione delle immagine come la consuetudine di presentare le fotografie con un supporto di carta bianca. Poi ci sono dati che riguardano l’impaginazione, ad esempio Ghirri rifiuta , nell’impaginazione dei libri e delle riviste, l’immagine tgliata. In particolare succede con la cucitura, per cui metà dell’immagine è da una parte del libro e metà dall’altra. Questa scelta può essere accettabile solo in casi eccezionali, ad esempio quando abbiamo bisogno di un’immagine molto grande per l’esigenza di rendere visibili molti particolari. Egli considera la fotografia come equivalente di una pagina di testo. C’è anche un’altro discorso: l’immagine con il fondo nero risalta subito e si relazione al mondo cinematografico. Ghirri vuole dirci che tutta questa struttura ipertecnologica che abbiamo a disposizione è importante però è sttraverso un’azione più veloce ed un approccio più libero che si possono ottenere migliori risultati. PROFONDITA’ In molte delle fotografie di Ghirri si hanno delle zone molto compatte senza scarti di illuminazione. E’ convinto che la fotografia sia una rappresentazione attraverso la quale si mettono in evidenza tante cose. Consiste nel dare luce alle cose. LA fotografia è scrivere con la luce, avere sensibilità nei confronti della luce. Si tende a dare un’informazione omogenea nonostante si sappia che ci sono valori di diverso tipo. Anche all’interno di un quadro illuminato in modo omogeneo ci sono zone in cui la luce lavora in modo diverso. Non interessa una luce uniforme , sarebbe una limitazione della profondità dell’immagine. Sono anche importanti le scelte del formato di ripresa. Il fascino dell immagine sta nel trovare un equilibrio tra quello che si deve vedere e quello che non si deve vedere. Non dev’essere una fotocopia della realtà. L’idea di vedere tutto in modo preciso viene allontanata dal pensiero Ghirriano poiché secondo lui una profondità va cercata in altro modo. Preferisce utilizzare lo sfondo sfocato per dare profondità nei ritratti. Però, è la luce del luogo che da profondità all’immagine. Quando Ghirri si riferisce alla sensibilità, non parla solo solo di sensibilità nel senso di sapere le zone che devono fare in ombre o non in ombra. Ma di una risposta al suo interno, al momento in ui tu stai fotografando alla luce che c’è in quell’attimo. Quindi lui si muove verso una ricerca, nel seno globale del termine. IMMAGINE PER MUSICA Nel corso degli anni il disco come oggetto è stato caratterizzato da una certa sensibilità, da caratteristiche fisiche ad esempio profondità, spessore. Dai primi del 900 fino agli anni 60 anche per quello che riguarda la confezione, non c’è stata una grande ricerca. C’era il 7 giri ma non c’erano grandi messaggi comunicativi intorno all’oggetto discco. Successivamente, a partire dagli anni 50, la grafica ha cominciato ad assumere un’importanza maggiore perché il disco non era più solo un 78 giri o un 45 giri che contenevano una canzone da una parte e una canzone dall’altra. Il 33 giri cominciava ad essere considerato un’opera e come tale aveva bisogno di qualcosa di consistente per quello che riguardava l’immagine di copertina, la grafica, la scelta di materiali diversi. Dagli anni 50 fino a metà degli anni 60 il rapporto tra musica e immagine che doveva in parte comunicarne i contenuti o i messaggi ha avuto un certo sviluppo sia sul piano grafico che su quello della scelta dei materiali. Esistevano album simili agli album di fotografie nei quali al posto delle foto c’erano i dischi ad esempio la tosca di puccini. Inizialmente ci si basava tanto su una linea classica, si ci rifaceva alla pittura romantica nel caso di musicisti romantici, questo per dire che una delle grandi distinzione tra la musica classica e la musica leggera è che la ricerca sulla grafica e sui materiali è sempre stata più rilevante ed importante per il pop e il rock che non per la musica classica. Questo dipende dai contenuti della

musica, dal budget. Agli inizi soprattutto negli anni 60 quando cominciarono a diffondersi il microsolco e il 33 giri, le case discografiche curavano molto l’aspetto progettuale, in questo caso per questo disco degli anni 60 della Philips è stato utilizzato un cartone spesso, rilegato con la tela gommata sulla costa. Va tenuto però presente che stiamo parlando di un prodotto che oggi sta scomparendo. Gurdando i cataloghi recenti vedrete che anche il disco a 33 giri non viene più prodotto. In america e in giappone vengono venduti i compact disc. Ci siamo abituati alla perfeione dell’ascolto, ad una limpidezza di suono tale per cui se uno mette su un disco in vinila di musica per pianoforte e un granello di polvere determina un fruscio viene notato. Nel settore discografico classico si è stabilizzata un’impostazione d’immagine molto rigida, che ha tenuto per molto tempo. Si parla di una grafica di tipo classico, distante, precisa, moto ortodossa che ha dimostrato un’efficacia durevole nel tempo. Un esempio di grafica più accattivante, moderna è quella adottata dalla CBS, casa americana famosissima, ora di proprietà della Sony che verso la fine deglli anni 60 ha impostato ex novo, con la collaborazione di un importante grafico l’immagine della musica classica. Negli anni 60-70 c’è stata una vera e propria deflagrazione. Le case discografiche cercavano di rinnovare la grafica, come ad esempio LE chant du monde che per lanciare questa collana si inventò una confeione strana: si apre e si chiude automaticamente e c’è il catalogo completo di tutta la produzione della casa. E tralaltro poco dopo vengono inseriti anche i poster all’interno dei dischi. I Beatles determinarono, uno spostamento decisivo: diventa fondamentale l’immagine, la comunicazione per immagini del prodotto musicale. Tant’è che si introduce anche il rimando dal disco al video. I beatles sono i primi a cogliere fin in fondo questa opportunità. Nello stesso periodo di Rolling Stones fanno un altro tipo di lavoro sulla grafica. Alcune loro copertine, che erano disegnate da Andy Warhol sono più interessanti sia concettualmente che come oggetti rispetto a quelle dei Beatles però rimangono un’intervento di superficie. La soluzione dei Beatles è oltre questa logica, loro capiscono che il disco fa parte di un progetto comunicativo molto più vasto che comprende il libro con pagine illustrate, la confezione, il video musicale. Un’altra spinta innovativa è stata data da Jhon Lennon quando di è staccato dai Beatles e ha prodotto una serie di oggetti insieme a Yoko Oko. Nel disco dei Jethro del 72, nel quale per la prima volta si riprende l’impostazione della testata del giornale: i testi delle canzoni sono riportati come fossero articoli, la grafica interna è strana, libera. Molto importanti per quanto riguarda l’immagine sono stati alcuni dischi dei pink floyd, ad esempio questo della mucca (atom heart mother 70) che rappresentava un cambiamento totale rispetto ai Beatles, rispetto ad un aggressività dei rolling stones o rispetto all’immagine patinata usata in copertina soprattutto per promuovere e consolidare l’immagine del cantante. I pink Floyd sono i primi ad utilizzare l’immagine di copertina in modo così sottile, personale ed innovativo, dietro quest’operazione c’era un gruppo di grafici inglesi che erano anche fotografi chiamati Hypgnosis, un po' come il nostro Studio Azzurro. Il cambiamento sostanziale riguardava l’immagine. Negli stessi anni intorno al 69 è uscito un disco chiamato ‘’Great White Wonder’’ che significa grande meraviglia bianca. Contrariamente a quelle che erano le tendenze del periodo riguardo l’impostazione grafica, visiva il disco era povero, la copertina bianco il disco pure e l’etichetta nera, con una marca e il disegno di un maiale. Da qui parte la vicenda del disco alternativo cioè non prodotto dalle case discografiche ufficiale dal quale gli artisti non ricavavano nessun diritto d’autore. Erano i bootleg, ricavati da registrazioni pirata fatte di nascosto. Qualcuno trafugava il nastro, faceva il disco e lo immetteva sul mercato. I bootleg erano produzioni clandestine ma fino ad un certo punto, erano apparentemente proibite, perché si compravano nei negozi. Recentemente le case discografiche hanno fatto una campagna a tappeto sostenendo che questi dischi danneggiano gli artisti perché contengono materiale che non si vuole diffondere e perché non prevedono il versamento dei diritti d’autore. Alcuni album nascono come oggetti da collezione, mentre altri sono oggetti di consumo. A volte un piccolo scaropo, o un anomalia nel processo industriale si trasforma in vantaggio economico. E’ significativa anche la grafica di Brian Eno che fa musica più sofisticata rispetto al pop e al rock. La produzione di musica per ambiente di Brian Eno richiamava alla mente la visione di frammenti di

La sociologia della musica di Adorno dice che ci sono 2 tipi di ascolto: l’ascolto consapevole di chi sa leggere la musica e quello di chi si limita all ascoto di dischi. Poi ci sono gli ascoltatori passivi e orrendi, quindi i consumatori di musica. Probabilmente le case discografiche pensano che il consumatore media, non sappia leggere uno spartito. D’altra parte è chiaro che ad un vero musicistale poche righe che potrebbero stare all’interno del libretto non servono a niente. Nelle confezioni dei dischi, in generale manca il commento di contenuti musicali: viene privilegiato l’aspetto visivo mentre viene trascurato quello conoscitivo. In un certo senso questo rivela una forma di fiducia totale nella capacità comunicativa della musica. Normalmente, come dicevamo non esiste il commento musicale, esiste però una serie di cd con la descrizione del contesto nel quale è nato quello specifico tipo di musica. Non bisogna dimenticare che c’è anche l’importanza del titolo. Uno dei primi dischi che Ghirri fa per Dalla aveva una copertina brutta, il disco si chiamava bugie, parlando con l’autore si è pensato che le bugie sono il rovescio delle verità cioè una verità può anche essere una bugia e viceversa. Allora Ghirri ha fotografato Dalla riflesso sul vetro smergliato di una macchina fotografica a lastre. Ma l’immagine è stata rigirata. Nella produzione musicale incisa negli ultimi 10 anni è stato scoraggiato qualsiasi tipo di ricerca. C’è in atto un adeguamento progressivo ai modelli del star system internazionale. Non si tratta di difendere i valori del passato semplicemente bisogna prendere atto di questa tendenza all’improverimento progettuale nel settore discografico e musicale. Oggi è la struttura sociale che è cambiata anche sul piano dei contenuti. Questo è un momento di passaggio tecnologico culturale, progettuale. Il vero problema per un musicista non è trovare suoni nuovi ma trovare un suono vecchio che sia nuovo. Poi è nata la cultura giovanilista che ha prodotto fenomeni. Adesso questa cultura mostra un po' la corda riguardo ai contenuti. Il problema è che oggi se non si hanno miliardi per investire nella musica non si può fare tantissimo. Tutto l’opposto di come ha fatto Bob Dylan realizzando una vera e propria tournee in giro per il mondo, questi sono eventi che hanno senso e che esprimono una dimensione della musica diversa. Ma ad oggi qualche banca nazionale del lavoro compra biglietti dei concerti rock?