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L'Amministrazione Digitale in Italia: Evoluzione, Strategie e Sfide, Summaries of Communication

La sfida dell'amministrazione digitale

Typology: Summaries

2019/2020

Uploaded on 06/01/2020

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Networked citizens – A. Lovari
1.La sfida dell’amministrazione digitale. Percorsi normativi, soluzioni tecnologiche e retorica dell’informazione.
La nascita delle tecnologie dell’informazione (ICT) ha in poco tempo trasformato strutture e organizzazioni di ogni
tipologia e livello gerarchico.
Secondo Castells, è il modello a rete della network society, a caratterizzare la nostra vita, sia nelle attività che
riguardano le forme di organizzazione e di relazione sociale, sia nel nuovo modello di economia capitalistica.
La rete è contemporaneamente mezzo e luogo di comunicazione, ma rappresenta anche l’infrastruttura materiale
su cui poggia il network, la forma organizzativa che contraddistingue la nostra società contemporanea.
L’introduzione delle ICT nel settore pubblico ha alimentato fin dagli anni 70 un dibattito sulla natura del
cambiamento tecnologico delle amministrazioni e dei processi sociali. Sono 3 le scuole di pensiero a riguardo:
- Trasformisti: l’uso delle ICT porterà a profonde metamorfosi sociali
- Continuisti: le ICT si inseriscono in un processo di sviluppo a lungo termine che verrà caratterizzato da forti
resistenze al cambiamento, portando ad un’inerzia organizzativa
- Strutturalisti: le tecnologie avranno innovative implicazioni rispetto alla struttura economica delle
organizzazioni e un forte impatto sui cambiamenti della società
Le PA stanno attraversando una fase di cambiamento e le tecnologie digitali e di rete accelerano questo processo
che impatta sui livelli organizzativi e professionali, su aspetti umani, strutturali, relazionali e comunicativi con i
cittadini e con il sistema dei media.
Come sostiene la legge di Krantzenberg, le tecnologie non sono né buone né cattive, ma non sono nemmeno
neutrali, per cui chi le gestisce dev’essere consapevole dell’impatto nelle organizzazioni e sui pubblici.
Le ICT possono essere strategiche per la PA per numerosi motivi: 1)ammodernamento dell’ente migliorando
efficienza e efficacia nelle pratiche e nei servizi agli utenti – 2)rendono l’amministrazione trasparente,
aumentando accessibilità e visibilità – 3)erogazione di servizi a distanza mediante piattaforme virtuali, alternative
a front-office e sportelli – 4)fattore abilitante per nuove forme di comunicazione interattiva – 5)opportunità per
creazione di spazi pubblici digitali per nuove forme di democrazia e civic engagment – 6) diventano strumenti per
conoscere in maniera più accurata i cittadini in un processo di monitoraggio dei servizi, dei consumi e di raccolta
feedback.
Molti ambiti definiti dall’adozione di queste tecnologie presuppongono l’adozione di cambiamenti non sono nelle
modalità esterne di rapporto con utenza e stakeholder, ma in primis nella struttura amministrativa e nella
gestione dei suoi servizi. Per offrire ai cittadini servizi più efficaci non bisogna curare solo l’interfaccia (punto di
fruizione del servizio), ma ripensare al funzionamento dei processi interni. In pratica, le tecnologie consentono
una riprogettazione e riorganizzazione dei servizi e delle procedure amministrative ma non la soluzione ai
problemi delle PA -> Necessitano quindi di essere accompagnate da un generale e profondo cambiamento.
Questo processo viene descritto da Contini e Lanzara con la metafora dell’ensambled mix, cioè l’assemblaggio di
un insieme di componenti tecniche e istituzionali in parte risultato evolutivo e in parte prodotto di interventi
umani e di design.
Ensambled mix per l’integrazione e l’addomesticazione delle tecnologie digitali in ogni PA
Ma quali sono i fattori che impediscono lo sviluppo delle politiche pubbliche in tema di digitalizzazione?
1) Resistenza al cambiamento da parte degli apparati pubblici, nascoste dietro all’alibi della burocrazia. Si
rinnovano i linguaggi (promossi istituzionalmente) ma non le pratiche
2) Dinamiche politiche che soffrono di two system problem (Fountain) cioè necessità di innovare mantenendo
però sistemi tradizionali di erogazione, pressati da lobby, che spingono a limitare i divided tecnologici ma
vogliono vedere tutelati i loro interessi
3) Disponibilità delle risorse finanziarie e dei vincoli di bilancio (dipendono dallo stato finanziario dei paesi)
4) Media coverage: I media influenzano l’agenda pubblica portando all’attenzione innovazioni digitali e
promuovono la best practice nell’uso dei sistemi elettronici. Contribuiscono quindi a creare un clima di
opinione positivo o negativo che porta i decisori politici a considerare l’attuazione di un certo progetto o
l’adozione di specifiche soluzioni tecnologiche.
La tematizzazione che i media fanno delle tecnologie ha notevoli implicazioni sullo sviluppo delle
amministrazioni digitali e sulle loro dotazioni tecnologiche.
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Networked citizens – A. Lovari

1.La sfida dell’amministrazione digitale. Percorsi normativi, soluzioni tecnologiche e retorica dell’informazione. La nascita delle tecnologie dell’informazione (ICT) ha in poco tempo trasformato strutture e organizzazioni di ogni tipologia e livello gerarchico. Secondo Castells, è il modello a rete della network society, a caratterizzare la nostra vita, sia nelle attività che riguardano le forme di organizzazione e di relazione sociale, sia nel nuovo modello di economia capitalistica. La rete è contemporaneamente mezzo e luogo di comunicazione, ma rappresenta anche l’infrastruttura materiale su cui poggia il network, la forma organizzativa che contraddistingue la nostra società contemporanea. L’introduzione delle ICT nel settore pubblico ha alimentato fin dagli anni 70 un dibattito sulla natura del cambiamento tecnologico delle amministrazioni e dei processi sociali. Sono 3 le scuole di pensiero a riguardo:

  • Trasformisti: l’uso delle ICT porterà a profonde metamorfosi sociali
  • Continuisti: le ICT si inseriscono in un processo di sviluppo a lungo termine che verrà caratterizzato da forti resistenze al cambiamento, portando ad un’inerzia organizzativa
  • Strutturalisti: le tecnologie avranno innovative implicazioni rispetto alla struttura economica delle organizzazioni e un forte impatto sui cambiamenti della società Le PA stanno attraversando una fase di cambiamento e le tecnologie digitali e di rete accelerano questo processo che impatta sui livelli organizzativi e professionali, su aspetti umani, strutturali, relazionali e comunicativi con i cittadini e con il sistema dei media. Come sostiene la legge di Krantzenberg, le tecnologie non sono né buone né cattive, ma non sono nemmeno neutrali, per cui chi le gestisce dev’essere consapevole dell’impatto nelle organizzazioni e sui pubblici. Le ICT possono essere strategiche per la PA per numerosi motivi: 1)ammodernamento dell’ente migliorando efficienza e efficacia nelle pratiche e nei servizi agli utenti – 2)rendono l’amministrazione trasparente, aumentando accessibilità e visibilità – 3)erogazione di servizi a distanza mediante piattaforme virtuali, alternative a front-office e sportelli – 4)fattore abilitante per nuove forme di comunicazione interattiva – 5)opportunità per creazione di spazi pubblici digitali per nuove forme di democrazia e civic engagment – 6) diventano strumenti per conoscere in maniera più accurata i cittadini in un processo di monitoraggio dei servizi, dei consumi e di raccolta feedback. Molti ambiti definiti dall’adozione di queste tecnologie presuppongono l’adozione di cambiamenti non sono nelle modalità esterne di rapporto con utenza e stakeholder, ma in primis nella struttura amministrativa e nella gestione dei suoi servizi. Per offrire ai cittadini servizi più efficaci non bisogna curare solo l’interfaccia (punto di fruizione del servizio), ma ripensare al funzionamento dei processi interni. In pratica, le tecnologie consentono una riprogettazione e riorganizzazione dei servizi e delle procedure amministrative ma non la soluzione ai problemi delle PA -> Necessitano quindi di essere accompagnate da un generale e profondo cambiamento. Questo processo viene descritto da Contini e Lanzara con la metafora dell’ ensambled mix , cioè l’assemblaggio di un insieme di componenti tecniche e istituzionali in parte risultato evolutivo e in parte prodotto di interventi umani e di design.  Ensambled mix per l’integrazione e l’addomesticazione delle tecnologie digitali in ogni PA Ma quali sono i fattori che impediscono lo sviluppo delle politiche pubbliche in tema di digitalizzazione?
  1. Resistenza al cambiamento da parte degli apparati pubblici, nascoste dietro all’alibi della burocrazia. Si rinnovano i linguaggi (promossi istituzionalmente) ma non le pratiche
  2. Dinamiche politiche che soffrono di two system problem (Fountain) cioè necessità di innovare mantenendo però sistemi tradizionali di erogazione, pressati da lobby, che spingono a limitare i divided tecnologici ma vogliono vedere tutelati i loro interessi
  3. Disponibilità delle risorse finanziarie e dei vincoli di bilancio (dipendono dallo stato finanziario dei paesi)
  4. Media coverage: I media influenzano l’agenda pubblica portando all’attenzione innovazioni digitali e promuovono la best practice nell’uso dei sistemi elettronici. Contribuiscono quindi a creare un clima di opinione positivo o negativo che porta i decisori politici a considerare l’attuazione di un certo progetto o l’adozione di specifiche soluzioni tecnologiche. La tematizzazione che i media fanno delle tecnologie ha notevoli implicazioni sullo sviluppo delle amministrazioni digitali e sulle loro dotazioni tecnologiche.

1.1. PA e tecnologie: un percorso normativo in lenta evoluzione Diverse norme hanno affrontato il rapporto tra amministrazioni e tecnologie, creando nuovi modelli di comunicazione e di interazione per i cittadini. Individuiamo specifiche fasi che risentono dell’introduzione di innovazioni e del portato legislativo pregresso e che per questo tendono a sovrapporsi e inglobarsi. Quello che scansiona queste fasi non il tempo ma il punto di vista attraverso il quale il sistema politico ha interpretato il ruolo delle tecnologie. Punti di vista che si concretizzano in obiettivi da raggiungere, che scandiscono un processo ancora in progresso e con numerose difficoltà di assemblaggio e applicazione.

  1. Decreto leg. 39/1993 “Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle PA”, istitutivo dell’AIPA (Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione) per promuovere, coordinare, pianificare e controllare lo sviluppo della gestione dei sistemi informativi automatizzati nella PA. Spetta all’AIPA anche controllare i risultati conseguiti dalle singole PA e di proporre al presidente del Consiglio dei Ministri l’adozione di raccomandazioni di indirizzo a regioni ed enti locali. Attraverso la redazione di un piano triennale (dal ’95) predispone linee strategiche sulle quali incentrare un processo di pianificazione e sviluppo dell’informatizzazione della PA, senza però avere i poteri per assumere decisioni politiche. Alla presidenza del consiglio spetta nomina dei componenti. Solo in seguito alla legge 675/1996 viene riconosciuta all’AIPA la piena autonomia e indipendenza di giudizio e valutazione. Con una direttiva del Presidente del Consiglio vengono tracciate le linee guida per la realizzazione della RUPA, che nasce come strumento per la realizzazione dell’interconnessione telematica dei sistemi informativi delle amministrazioni centrali, per consentire la condivisione del patrimonio di dati e rendere possibile l’interazione con i cittadini e le imprese grazie all’amministrazione, che si pone come unitario centro di erogazione di servizi. Con la legge 59/1997 viene affermato il pieno riconoscimento giuridico della documentazione informatica , equiparandola a quella cartacea (prima legge in Europa in materia di amministrazione digitale). Ma è con il decreto 513/1997 che viene sancito che il documento elettronico ha lo stesso valore di quello cartaceo e si riconosce una funzione chiave alla firma digitale. Con l’adozione del decreto 445/2000 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa” tutte le norme di questo triennio vengono sintetizzate in un unico testo normativo per disciplinare produzione, conservazione e trasmissione degli atti della PA, oltre ai rapporti con l’utenza.  in questa prima fase, le tecnologie sono considerate uno strumento di informatizzazione, utili a modernizzare la struttura amministrativa semplificandone i procedimenti. 2) Parallelamente a fine anni ’90, grazie al repentino sviluppo di internet, e all’approvazione della legge quadro sulla comunicazione (150/2000) si apre una seconda fase che tende a considerare le tecnologie digitali come strumenti di pubblicizzazione dell’attività amministrativa, in grado di favorire l’accesso a tutte le fasce della popolazione (regole per la costruzione portali istituzionali e per le loro funzioni). In questo contesto si inserisce la legge 4/2004 “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici” detta “Legge Stanca” che introduce disposizioni per facilitare l’accessibilità in ottemperanza al principio di uguaglianza dell’art. 3 Cost. A distanza di un anno, viene approvato il CAD, “Codice delle Amministrazione digitale” (adottato nel 2005). Questa normativa si articola in 2 livelli: uno tecnico-operativo di design del sistema di e-governament e l’altro più filosofico-giuridico finalizzato a definire i nuovi diritti dell’era digitale. Il CAD stabilisce il diritto dei cittadini all’utilizzo delle tecnologie informatiche per lo svolgimento delle pratiche di competenza della PA (per invio e scambio di dati). Inoltre, prescrive in tutte le amministrazioni l’inserimento all’interno dei siti istituzionali, di una serie di informazioni quali l’organigramma, indicazione responsabili d’ufficio, indirizzi email degli amministratori, durata e scadenze dei procedimenti amministrativi, elenco di bandi di gara emanati dall’ente. Siamo al culmine di un’ulteriore fase in cui nella quale le amministrazioni considerano internet e le tecnologie digitali e di rete come leve strategiche per l’erogazione di servizi ai cittadini e alle imprese, e come strumenti per ridurre spese e costi di gestione e snellendo tempi e procedure.
  2. È sotto il governo Berlusconi che si apre una nuova fase di rinnovamento. Si tratta, oltre che di un processo amministrativo, anche di un vero e proprio processo mediale, che vede la PA come principale imputato colpevole di inefficienza (rif “Fannulloni”). Si inserisce qui “L’operazione trasparenza” lg. 69/2009 e soprattutto la più generale riforma della PA approvata dal dc.lgs. 150/2009 cd. Riforma brunetta. Questa riforma si pone come obiettivo di introdurre regole certe per misurare la produttività degli enti pubblici,

vigilanza sulla qualità dei servizi e razionalizzazione della spesa in materia di informatica, promozione e diffusione di iniziative di alfabetizzazione informatica, monitoraggio dell’attuazione dei piani di ICT delle PA. La tematica dell’uso strategico delle tecnologie per la PA diviene terreno di contro tra i ministeri competenti. Nell’ottobre 2012 viene pubblicato il decreto “Crescita 2.0” che contiene misure per la creazione di imprese innovative “start up” per attirare investimenti esteri in Italia. Il decreto promuove la creazione di un documento digitale unico che sostituisce CID e tessera sanitaria, favorendo l’accesso ai servizi. Dal 2013 viene introdotto il domicilio digitale e l’obbligo della PEC per le imprese per ridurre i tempi degli adempimenti burocratici., vengono rese obbligatorie tutte le procedure per l’acquisto di beni e servizi da parte della PA per via telematica e la comunicazione online tra le diverse PA e i privati. Inoltre, nel documento, con l’obbligo di pubblicazione, gli open data diventano non solo uno strumento di trasparenza ma anche strumento per lo sviluppo economico e crescita sociale. + altre introduzioni a livello settoriale ad es: fascicolo sanitario elettronico e fascicolo elettronico dello strumento universitario. 1.2 Le politiche italiane di e-governament ed e-democracy: accelerazioni e ritardi nello sviluppo dell’amministrazione digitale L’egovernament e l’e-democracy delineano nuovi processi della macchina organizzativa PA, orientati ad una maggiore economicità, trasparenza, efficacia e partecipazione. Con e-democracy si intende la partecipazione diretta dei cittadini nel corso dei processi decisionali sostenuta dalle nuove tecnologie della comunicazione, capaci di abbattere le tradizionali barriere di accesso che scoraggiano i impediscono la partecipazione ai processi democratici. Il termine e-governament si riferisce, invece, all’applicazione delle nuove tecnologie alle transazioni fra cittadini e amministrazioni per renderle più rapide ed efficienti. In Italia questi due termini sono stati spesso trattati in chiave dicotomica aprendo scenari di sviluppo in un senso piuttosto che in un altro. In particolare si è privilegiato il concetto che le reti informatiche rappresenterebbero uno strumento di ammodernamento della PA, funzionale al contenimento dei costi e all’efficacia delle transazioni e dei servizi, piuttosto che come un fattore abilitante per creare nuovi istituti di partecipazione tra cittadini e PA. Si è investito in e-governament piuttosto che in e-democracy,a causa degli scarsi risultati degli esperimenti e all’interesse delle grandi società di consulenza che hanno contribuito ad aumentare l’interesse per il governo elettronico, oscurando più o meno volontariamente gli strumenti di e-democracy. L’e-governament è legato principalmente agli studi sulle organizzazioni e sui processi manageriali piuttosto che su una riflessione sul rapporto tra tecnologie e democrazia. Se andiamo però a considerare la prospettiva di applicazione dell’e-governament fornita dalla Commissione Europea, notiamo come la sfera di interesse di questo processo, abbracci anche attività legate più strettamente a forme di democrazia partecipativa online. Il senso che si intende è: il ricorso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle PA, coniugato ad un cambiamento organizzativo e all’acquisizione di nuove competenze da parte del personale, con l’obiettivo di migliorare i servizi al pubblico, rafforzare il processo democratico e sostenere le politiche pubbliche. E-governament ed e-democracy sono perciò due facce della stessa medaglia e non dovrebbero essere visti come termini di dualismo, ma come strettamente interpenetranti. L’egovernament non è quindi sinonimo di informazione della PA, ma l’informatizzazione rappresenta solo un’opportunità né allo stesso tempo una conseguenza delle azioni di e-governament. 1.2.1 Lo sviluppo dell’e-governament in Italia: principali tappe e piani di azione Come abbiamo visto, il rapporto tra PA e tecnologie è stato accompagnato da una ricca produzione normativa che ha enfatizzato le politiche dell’e-governament e ha visto la nascita di strutture specifiche per gestire e coordinare le attività per la creazione in un’amministrazione digitale. Lo sviluppo dell’e-governament nel nostro paese può essere articolato in 3 fasi:

  1. 1993-2000 caratterizzata dalle norme sull’informatizzazione, dalla creazione delle prime reti civiche, fino alla definizione delle linee guida per le politiche pubbliche in tema di e-governament
  2. 2001-2007 istituzione del Ministero per L’innovazione e le Tecnologie (2001), della realizzazione del primo e del secondo piano di azione per l’e-governament, all’estensione della policy di governo elettronico in ambito locale, e dai tentativi di attuazione del Codice dell’Amministrazione digitale.
  1. dal 2008 ad oggi, modifiche del CAD, approvazione del nuovo piano per l’e-governament (2009-2012), forte spinta verso la razionalizzazione dei siti pubblici e necessità di dematerializzazione degli atti amministrativi, oltre che dai provvedimenti normativi relativi all’Agenda Digitale Italiana. E’ nel corso della prima fase che nel 2000 viene lanciato il primo piano italiano di azione per l’e-goverament, con 3 obiettivi:
  2. Migliorare l’efficienza operativa interna delle amministrazioni
  3. Informatizzare l’erogazione dei servizi ed offrire servizi integrati e non frammentati secondo le competenze
  4. Garantire l’accesso telematico alle informazioni e ai servizi erogati dalla PA Il piano individua i 4 pilastri tecnologici per la realizzazione dei sistemi di e-governance: a) Tecnologie per l’identificazione dei cittadini (firma digitale, carta d’identità elettronica) b) Tecnologie di front-office, costituite da siti internet e da dispositivi come tv e telefonia mobile c) Tecnologie di back-office, grazie alla creazione di banche dati integrate e interconnesse d) Tecnologie infrastrutturali per consentire il trasporto dei dati in sicurezza Inoltre il documento definisce un modello composto da sei elementi chiave: 1)erogazione servizi 2)riconoscimento digitale
  5. canali d’accesso
  6. enti eroganti
  7. interoperabilità e cooperazione
  8. infrastruttura di comunicazione Il piano stabilisce il tipo di rapporto tra PA e cittadini da realizzare attraverso l’uso delle ICT, e afferma la necessità di un coordinamento delle tecnologie per l’e-governament all’interno di un sistema coerente di modernizzazione della PA. Per questo motivo rimane un punto di riferimento nel processo di digitalizzazione delle PA. La fase di attuazione del piano è stata sviluppata da regioni e enti locali dal 2001 al 2003. La seconda fase di attuazione dell’e-governament ha previsto finanziamenti per estendere alla maggior parte delle amministrazioni locali i processi di innovazione già avviati. La novità è che l’idea di e-governament possa svilupparsi attraverso un progetto federale, riconoscendo l’autonomia degli enti locali, all’interno di una visione condivisa. Il Ministero evidenzia la necessità di definire standard comuni e architetture di sistema condivise per garantire l’interconnessione ed evitare sprechi e duplicazioni di progetti. Le aree di intervento del secondo piano dell’e-governament furono definite in 7 linee di azione, tra cui: -sviluppo di servizi infrastrutturali locali -espansione territoriale e completamento dei servizi per i comparti di lavoro e sanità -inclusione dei piccoli comuni, sotto i 50000 abitanti, esclusi prima dal piano -avviamento dei progetti per lo sviluppo dell’e-democracy e della cittadinanza digitale -la formazione e l’assistenza per gli enti locali E’ in questo contesto che si vuole favorire la nascita di progetti che non coinvolgano soltanto internet ma anche tv digitale e telefonia mobile. Tutti i progetti comunque si sono conclusi con forte ritardo e alcuni non sono partiti. La terza fase dell’e-governament si apre attorno al processo di riforme e digitalizzazione della PA, le scelte operate dal ministro brunetta si situano da un lato all’allineamento delle policy europee in termine di innovazioni digitali, dall’altro intervengono per eliminare sprechi. Nel 2009 viene lanciato il terzo piano di azione sull’e-gov chiamato “Piano e-gov 2012” che si pone l’obiettivo di migliorare la regolamentazione in materia. Si sviluppa in 4 ambiti di intervento prioritari: a) Settoriali, cioè riferiti alle amministrazioni centrali dello Stato e alle università b) Territoriali, riferiti sia alle regioni che agli enti locali c) Di sistema, mirati allo sviluppo di infrastrutture come il Sistema Pubblico di Connettività, o di capacità, come i progetti per ridurre il digital divide e migliorare l’accessibilità ai servizi d) Internazionali, per mantenere un forte impegno sia nella rete europea delle infrastrutture, sia nella rete europea dell’innovazione e della best practice, per favorire lo sviluppo della governance di internet

La seconda delle direttrici attraverso le quali realizzare le politiche innovative è quella del coinvolgimento diretto dei cittadini, tramite il coinvolgimento del web 2.0. Grazie a questo possono essere favorite politiche di e-partecipation, coinvolgendo i cittadini non solo in qualità di fruitori dei servizi ma anche nella progettazione e nel design degli stessi. 1.4.Ritardi e retoriche di un innovazione tradita L’Italia è ancora oggi in una situazione di arretratezza rispetto ad altre nazioni europee e in stallo su alcuni settori chiave dell’innovazione tecnologica. Sismondi nel 2010 individua 3 ritardi nello sviluppo e nell’affermarsi nella PA della tecnologia digitale: 1) discontinuità politica con continue interruzioni e ripartenze – 2) illusione di poter innovare soltanto acquistando la tecnologia, nella speranza che la sola presenza attivi magicamente dei comportamenti – 3)mancanza di una killer application per l’e-gov in grado di attirare masse di cittadini tali da scaturire l’interesse di pubblici, privati e media (+ altre 7 problematiche da affrontare e risolvere). Nel prefigurare scenari quello che non viene considerato è proprio il divario digitale che c’è sua ampie fasce della popolazione italiana. Qui si riapre un ambito, quello dell’uso della comunicazione pubblica come strumento di promozione e di immagine asservito alla politica e non come volano di trasparenza e di capitale relazionale. Non considerare il reale impatto dei fattori di ritardo descritti sopra, significa promuovere solamente una retorica dell’innovazione istituzionale, in cui ai provvedimenti viene assegnato un ruolo solo propagandistico e non quello di motore guida dei processi di innovazione. Per comprendere meglio i ritardi occorre considerare non solo le dotazioni della PA ma anche l’effettiva e reale diffusione delle tecnologie tra i cittadini, appannaggio ancora di giovani adulti e professionisti, e risente di differenze sociali e territoriali. Si affacciano quindi nuove forme di divided che coinvolgono skills tecnologiche e la motivazione e la presa di coscienza dell’utilità di internet per la vita dei cittadini. Gli italiani usano poco internet rispetto ad altri paesi europei (Eurostat) e lo usano ancora meno per interagire con la PA. I ritardi nel nostro paese non sono quindi concentrati solamente nelle dotazioni tecnologiche degli italiani, ma si riscontrano anche nello scarso uso dei servizi telematici della PA. Questo si può collegare alla limitata fiducia dei cittadini verso la rete e verso l’erogazione di servizi online, ad una resistenza al cambiamento tipica della popolazione italiana ma anche ad una scarsa promozione dei servizi digitali da parte della PA. La situazione è ancora molto disomogenea, in particolare, con l’assenza di un poter sanzionatorio per le amministrazioni inadempienti, la mancanza di una strategia generale di informatizzazione e di governament da parte della politica, ha delineato uno scenario problematico in cui ci sono ancora ostacoli al cambiamento, non solo in ordine tecnologico, ma anche organizzativo e culturale. 2.L’amministrazione digitale e la prova del web 2.0 e degli opendata Si parla delle trasformazioni che stanno coinvolgendo la società e le organizzazioni, in seguito allo sviluppo del web 2.0; con questo si intende l’internet di seconda generazione, caratterizzato dalla combinazione di un numero di tecnologie web based, che abilitano l’interazione e la collaborazione degli utenti. Questa possibilità di partecipare e produrre contenuti era presente nel web 1.0 (forum) ma quello che si è modificato è la misura, quindi l’intensità e la facilità con il quale queste attività possono realizzarsi da parte dei cittadini. Il vero cambiamento è piuttosto nei comportamenti dei cittadini, che sembrano aver scoperto nel web uno spazio sociale. Quest’evoluzione delle piattaforme consente di abbandonare un modello sostanzialmente top down, creando nuove relazioni e forme aggregative. Chiaramente sono emerse posizioni critiche, ponendo in discussione anche l’effettiva utilità di queste piattaforme dietro alle quali si celano a volte nuove logiche di business e forme di sfruttamento dei cittadini. Non si tratta comunque solo di descrivere cambiamenti tecnologici ma anche economici, sociali e organizzativi, interconnessi tra di loro. L’uso del web 2.0 può portare a numerosi benefici per la PA, non solo per la comunicazione ma anche per l’efficacia dell’azione amministrativa; pensiamo ad es alle segnalazioni prodotte dai cittadini, che consentono di intervenire velocemente sulle criticità. Il processo di disintermediazione applicato dal web 2.0 favorisce proprio un ripensamento dell’idea di partecipazione in ambito civico. La stessa idea di disintermediazione dovrebbe prevedere non solo l’accesso dei cittadini alle reti di comunicazione ma anche le loro possibilità di partecipare ai processi decisionali. L’evoluzione del web 2.0 in ambito di pubblica amministrazione si è sviluppata seguendo due traiettorie principali: a) Una rapida introduzione delle tecnologie e applicazioni 2.0 per favorire l’e-partecipation coinvolgendo i cittadini e i principali stakeholders della PA, nei processi decisionali delle amministrazioni, e predisponendo strumenti di misurazione trasparente della citizens satisfaction.

b) Il più grande inserimento delle logiche 2.0 è ad es l’introduzione di blog e sistemi di cooperative ranking, che è l’evoluzione dei siti web in una logica wiki, oppure anche anche l’apertura dei database pubblici, del tagging e della georeferenziazione. Quindi, il web 2.0 permette ad istituzioni e cittadini di entrare in contatto, generando valore per entrambi. Diventa indispensabile per le amministrazioni adeguarsi ad un modello di comunicazione e di offerta di servizi che preveda il contributo e l’interazione con i cittadini e con le imprese, riconoscendo nel web 2.00 il principale alleato. Le istituzioni devono infatti predisporre dei luoghi della rete in cui possono realizzarsi, ma devono anche impegnarsi a comunicare le piattaforme. 2.1Verso l’e-gov 2.0 per i cittadini e con i cittadini Con lo sviluppo del web 2.0 si afferma una nuova fase, un upgrade delle tradizionali forme dell’e-gov. Con questo termine si fa riferimento ad un nuovo modo di ridefinire la relazione tra cittadini e amministratori. Non significa però rimpiazzare la democrazia rappresentativa con altri tipi di sondaggi online, ma vuol dire coinvolgere il cittadino come partecipante a pieno titolo e non come osservatore del proprio governo. Questo coinvolgimento attivo avviene generalmente tramite la pratica della coproduzione. I governi in questo modo intendono trattare i cittadini non come clienti ma come partners, infatti questi ultimi possono essere un’importante risorsa per migliorare le politiche pubbliche e l’erogazione di servizi. Linders nel 2012 individua le variabili rilevanti per definire lo spettro per definire le relazioni tra amministrazioni e cittadini, e le modalità di partnership per erogare servizi pubblici. Relativamente alla dimensione fornitore vs beneficiario dei servizi, vengono identificate 3 categorie che corrispondono a 3 modelli di relazione dei servizi: a) Citizen sourcing: (dai cittadini alle amministrazioni) che aiutano i governi ad esser e più attenti ai cittadini b) Governament as a platform: (dall’amministrazione ai cittadini) il costo marginale della diffusione dei dati digitali e dei servizi basati sulle reti consente alle amministrazioni di render conoscibili delle infrastrutture tecnologiche che sono state costruite con il contributo economico dei cittadini, quindi lo stato aiuta a migliorare quotidianamente la produttività e i processi decisionali c) Do it yourself governament: (da cittadino a cittadino) con i cittadini che si auto riorganizzano, aperti alla co- produzione, in questo caso le amministrazioni non giocano un ruolo attivo ma possono fornire contesti e scenari che facilitano la stessa co-produzione. In tutti e 3 i livelli si alternano diverse fasi dell’erogazione dei servizi pubblici; prima la pianificazione del design del servizio, poi esecuzione/erogazione e infine il monitoraggio nella fase di valutazione. Questi modelli se pur diversi possono contribuire a portare valore aggiunto alle strutture governative, a volte si sovrappongono, si alternano si contaminano, ma attribuiscono alle amministrazioni e ai cittadini nuovi ruoli di responsabilità nell’erogazione dei servizi pubblici. Linders parla in particolare del passaggio da una dimensione di e-gov bilanciata su logiche top down di erogazione ad una di we-governament che considera i cittadini come partner. 2.2 Web 2.0: innovare con i cittadini Molte soluzioni 2.0 sono state adottate da numerose amministrazioni, non solo per svolgere public relation e per comunicazioni di pubblico servizio, ma anche per risolvere compiti strategici, come servizi di intelligence, revisione di brevetti e partecipare ai processi decisionali. Vari es: Torino con Torino 2.0 e Venezia con servizio IRIS (che consente ai cittadini di collaborare con l’amministrazione per segnalare bisogni di manutenzione urbana). Oltre a questi media terzi ci sono dei media civici, realizzati da cittadini e associazioni, sono ibridazioni tra reti civiche e media sociali e si caratterizzano perché mettono a disposizione della cittadinanza strumenti civici tipici dei media sociali, organizzati in maniera tale da favorire il rafforzamento dei legami sociali e l’impegno civico. I media civici hanno come obiettivo la produzione di informazioni rilevanti per la comunità a cui si riferiscono per favorire nuove relazioni dialogiche con le amministrazioni, stimolando partecipazione e costruzione di politiche pubbliche. Tutte queste piattaforme nascono dalla volontà dei cittadinanza e di altri soggetti di sopperire alla mancanza di spazi 2.0 offerti dalla PA. Anche se adottate dalle amministrazioni, l’approccio è comunque bottom up e la dimensione prevalente è proprio quella di denuncia di disservizi piuttosto che di voice collaborating. La facilità di accesso a queste

accesso alle informazioni, documenti, provvedimenti etc, ma possono anche diventare partecipanti in modo significativo. Adottare una prospettiva di open governament per i due attori significa non solo migliorare il rapporto tra PA e cittadini ma migliorare anche la comunicazione e le procedure interne. L’adozione di questa modalità implica, come per l’e-gov 2.0 la riprogettazione del modo di operare della PA, la ridefinizione delle forme di interazioni e di relazione con gli attori del territorio, ma soprattutto un cambiamento culturale che pone al centro il cittadino e non le procedure amministrative. Il cambiamento di queste nuove forme rispetto a quelle di prima (e-gov 1.0) si sintetizza con il passaggio da cosa fanno le PA con le tecnologie per i cittadini a cosa fanno i cittadini con le tecnologie per e con la PA. 2.5 Limiti e nuove retoriche del web 2. Associare la PA al web 2.0 è diventata una moda a cui i media sono sensibili nei suoi processi di newsmaking e spettacolarizzazione, rischiando che siano funzionali solo alle logiche di promozione e di immagine per attirare l’interesse dei media e dell’opinione pubblica, mentre molti progetti rischiano di rimanere sulla carta se molte amministrazioni non smettono di investire solo in retorica. Non basta abbellire un sito, amministrare 2.0 significa, relazione bidirezionale, perché si è consapevoli che nessuno meglio dei cittadini può valutare servizi e progetti, segnalare le criticità, manifestare esigenze e bisogni e fare proposte per soddisfarli. E’ l’amministrazione che sceglie di improntare i suoi processi sui principi di collaborazione, per sfruttare l’intelligenza collettiva. Ed è un’amministrazione che, infine, fa di tutto per sfruttare le offerte delle nuove tecnologie e degli strumenti 2.0, mettendoli a servizio dei rapporti con il cittadino. Quindi, c’è bisogno di una forte volontà politica e di sintonia e accordo tra gli apparati amministrativi ma anche di un maggior utilizzo di internet, le amministrazioni devono adottare anche policy e misure specifiche per ridurre il digital divide. Le attività 2.0 non devono sostituire quelle già presenti nel progetto di amministrazione digitale, ma le due anime possono e devono essere complementari, il rischio è quello di dare troppa attenzione a ciò che non è stato implementato, solo perché è di tendenza ed è oggetto di trattazione mediatica, e non alle criticità vere, in questo modo l’amministrazione 2.0, il modello di e-gov 2.0 e di open-governament rischia di diventare solo una politica simbolica. 3.Fare comunicazione al tempo della rete La comunicazione pubblica per esprimersi in tutta la sua portata innovatrice, ha bisogno di essere supportata da una gestione strategica dei flussi di informazione e comunicazione. Le amministrazioni devono essere in grado di implementare una comunicazione autoprodotta orientata ai bisogni comunicativi dei cittadini, riuscendo a presidiare anche i flussi della comunicazione eteroprodotta, che provengono dai media. Infatti le PA sono da sempre oggetto della trattazione mediale e ne avevano bisogno per avere visibilità e raggiungere l’opinione pubblica, cercando di offrire ai media gli aspetti più notiziabili della vita istituzionale. I media sono stati per lungo tempo l’unica fonte informativa sulla PA, la loro trasformazione da semplici canali trasmissivi a istituzioni con delle proprie logiche e routine produttive e la fase espansiva della comunicazione autoprodotta della PA (istituzionalizzata dalla legge150/2000) ha modificato lo scenario nel quale le attività e gli eventi della PA diventano notizie rilevanti nella sfera pubblica. Nella prima fase le interazioni tra amministrazioni e sistemi dei media vedevano i cittadini come semplici ricettori di messaggi, in un approccio top down della comunicazione pubblica (questo si è sviluppato anche per una specificità della amministrazioni italiane, incentrate su una gerarchia rigida e su un immaginario legato al segreto d’ufficio. Poi, con l’affermarsi di vari fattori tra i quali la presa di coscienza dei cittadini di essere soggetti attivi di diritti e la nascita di forme di associazionismo, lo sviluppo di internet etc, aumenta l’entropia comunicativa del sistema. E’ importante per le amministrazioni possedere e gestire canali autonomi per le comunicazioni per veicolare in maniera continuativa un punto di vista delle istituzioni, nel rispetto dei principi di trasparenza e rendicontazione (accountability). Per gestire la comunicazione autoprodotta ci vogliono delle strutture specifiche, che devono ideare, pianificare e monitorare i flussi di informazione verso i media e la comunicazione con i cittadini. 3.1.Strutture e uffici per comunicare: gestire la comunicazione Si parla degli URP, l’art.8 della 150/2000 determina quali funzioni svolgono; oltre all’accesso agli atti e alla comunicazione con i cittadini, all’Urp spetta l’adozione di sistemi di interconnessione telematica: il coordinamento delle reti civiche, verifiche della qualità di servizi e di gradimento, l’ascolto della cittadinanza, la comunicazione interna, relazione intra istituzionali e inter istituzionali con gli altri Urp del territorio. Con il decreto 150 non solo si sono conversate le competenze originarie (previste dal decreto del ’93) ma sono state assunte nuove funzioni che lo

legittimano come struttura innovativa e complessa di comunicazione pubblica. Questa normativa ha previsto profili professionali per questi uffici, ad esempio il comunicatore pubblico, il tecnico delle relazioni con il pubblico e il documentalista (idem per formazione e criteri d’accesso ai ruoli). Gli Urp, in numerosi casi, si sono evoluti da semplici sportelli informativi in strutture di staff e line, in grado di progettare e gestire tutta la comunicazione dell’ente, svolgendo compiutamente sia il ruolo di line (relazione interne al personale diretta agli operatori di sportello e cittadini) e di staff (gestione della comunicazione interna ed esterna e ascolto degli utenti). Ci sono numerose URP appartenenti a differenti tipologie di amministrazione (regione, comuni, aziende ospedaliere etc), non tutti hanno investito in Urp. L’impressione è che una parte di questi sia stata istituita in maniera formale, attribuendo un’etichetta d’ufficio che continua a svolgere funzioni meramente burocratiche e non rappresenta un’ interfaccia con i cittadini. Questi ritardi sono stati causati soprattutto dal tipo di cultura dominante della amministrazioni, perché l’Urp per svolgere il suo ruolo richiede una mobilitazione di energie che la legge può favorire, ma che per l’effettivo sviluppo, necessita di un impegno costante e concreto delle amministrazioni. Questo fenomeno riguarda anche l’ufficio stampa, la legge 150 gli attribuisce le funzioni con gli organi di informazione, ma in realtà l’agire quotidiano degli uffici stampa pubblici non è conforme a quanto stabilito dalla legge e finisce spesso per essere un terminale del potere politico economico, senza carisma. Un ulteriore pericolo da scongiurare è rappresentato dal fatto che le notizie di una certa rilevanza passano nella relazione diretta tra giornalisti e amministratori, riducendo ad una dimensione di servizio burocratico il rapporto con l’ufficio stampa. L’ufficio stampa si trova molte volte a dover competere nella realtà lavorativa con il portavoce; queste figure non sono inserite in una strategia più complessiva e quindi si delineano pericolose laison tra comunicazione pubblica e comunicazione politica. Pur non essendo una figura obbligatoria per la 150, il portavoce è presente in moltissime PA. Oltre a ricoprire la funzione di spokesman nei confronti dei media, spesso è il braccio destro del consigliere politico e svolge attività di spin doctor , portando proprio avanti il punto di vista politico dell’amministrazione. E’ una specie di uomo di parte ma capace anche di difendere i valori di ogni singola istituzione. Anche a distanza di 10 anni dall’approvazione della legge 150/2000, molte amministrazioni non hanno adeguato i profili professionali. Un ulteriore criticità è quella relativa al coordinamento delle strutture di comunicazione e informazione per non replicare le stesse cose, affinché non vadano in contrasto. Sono poi nate anche altre strutture che non sono nella legge, come gli uffici web e comunicazione online o nuove aree strategiche come il marketing istituzionale, la comunicazione interna e la gestione di eventi. 3.2 L’evoluzione dei mix in logica di comunicazione strategica integrata Queste strutture fanno ricorso ad un comunication mix articolato con l’uso di strumenti di comunicazione d’impresa e comunicazioni pubbliche, sancito dall’art. 2 della 150. I mezzi sono tanti e possono essere utilizzati da specifiche scelte che coinvolgono la natura del mezzo pubblico e agli interlocutori alla quale si indirizzano. Fiorentini suggerisce di differenziare gli strumenti a secondo dei servizi e delle attività comunicative, in un continuum che va da forme di comunicazione diretta a forme di comunicazione indiretta generalizzati. Faccioli propone una disamina dei mezzi di comunicazione e un articolazione degli strumenti informativi rispetto alle 5 dimensioni sulla quale si articola la comunicazione delle istituzioni pubbliche: ad es Gazzetta ufficiale per comunicazione normativa, mentre la comunicazione per la promozione di immagine si avvale di spot e campagne pubblicitarie. Una diversa lettura è quella di Rovinetti che categorizza gli strumenti della PA a seconda dei referenti dei messaggi e soprattutto alle aree di competenze delle strutture. Solito invece sostiene che i mezzi di comunicazione debbano essere differenziati a seconda che producano un’informazione generalista, tematica o di servizio. Quindi, nella pratica le amministrazioni devono saper gestire con competenza e professionalità vari strumenti, soprattutto gestire la comunicazione autoprpdotta in maniera strategica integrata. Strategica significa concordata con i vertici dell’amministrazione, indirizzata da un preciso piano di azione per raggiungere obiettivi condivisi. L’aggettivo integrata fa riferimento a due dimensioni: integrazione dei flussi di comunicativi che si muovono dalle diverse strutture, e integrazione dei vari strumenti utilizzati per comunicare. L’aspetto della pianificazione deve caratterizzare l’azione comunicativa della PA, perché spesso le iniziative rischiano di non essere intercettate dai cittadini. Affinchè la comunicazione pubblica riesca a esprimersi in tutte le sue potenzialità è necessario un sistema di informazione articolato, pluralità di mezzi e strumenti per raggiungere diverse tipologie di cittadini che sono diversamente sensibili alle forme e modalità di informazione e comunicazione, ma soprattutto sono diversamente raggiungibili.

potenzialità per rendere l’azione amministrativa trasparente, facilitare l’accesso e la partecipazione, agevolare il processo di comunicazione interna e interistituzionale, coinvolgere una pluralità di soggetti sia come produttori sia come destinatari delle informazioni di pubblica utilità. A differenza di altri paesi come Usa e Canada, i promotori delle reti civiche in Italia non furono i cittadini ma gli enti locali, in particolar modo i comuni. Si svilupparono cioè civic network promosse dalla PA al fine di diffondere informazioni di carattere istituzionale. L’accesso avveniva tramite la creazione di punti telematici in luoghi facilmente accessibili nei quali era possibile cominciare a familiarizzare con internet, tramite corsi di alfabetizzazione alle tecnologie. In pochi anni, la grande diffusione delle reti civiche e la sperimentazione dei primi progetti di digital cities segnarono il passaggio da una fase telematica spontanea ad una di integrazione istituzionale. Un ruolo chiave fù giocato dallo sviluppo esponenziale di internet che stimolò la nascita dei siti web delle PA (dal 1996 al 2003 quasi tutte le amministrazioni ad ogni livello se ne dotarono). I siti internet della amministrazioni pubbliche hanno oggi un ruolo chiave nelle strategie di comunicazione pubblica, sono uno strumento strategico che assolve principalmente a due funzioni: consentono a imprese e cittadini di reagire telematicamente con le amministrazioni, e permettono un controllo su operato, produttività ed efficienza dei pubblici uffici. Dal ’98 al 2003 si trattava di “siti vetrina” che segnalavano la presenza dell’istituzione in rete, sviluppati dai dipendenti in molti casi con scarsa sensibilità comunicativa o da privati che gli applicavano un modello grafico da advertising. E solo grazie ai provvedimenti normativi (citati nel cap I) che progressivamente viene creata una grammatica minima per progettare i migliorare i siti della PA. In pochi anni il modello sito vetrina, sbilanciato sulla visibilità e sulla promozione dell’ente, passa al modello “sito interattivo” che consente forme di interazione e non solo di semplice lettura di info. Non basta però progettare interfacce dialogiche per avere siti efficaci nella comunicazione e visitati dall’utenza. Il problema rimane quello di snellire e semplificare il linguaggio della comunicazione pubblica online. Ancora oggi ci sono siti non aggiornati e obsoleti. Queste difficoltà emergono anche nel modello “sito portale”(2003-2010) e si estendono anche i “siti partecipativi”(2009>) integrati dalle tecnologie 2.0. Accanto al portale istituzionale sono nati decine di siti tematici dedicati alle iniziative, eventi e progetto organizzate dalle amministrazioni. Queste pagine spesso non risiedono sui portali istituzionali e sono ospitate su altri server, rendendo così la navigazione complessa e disarticolata (siti web complessi specchio della complessità della macchina amministrativa). Mancava una mappa per orientarsi tra tutti questi siti. Inoltre le pagine tematiche erano spesso non aggiornate nei contenuti. Essere presenti in rete non significa perciò avere qualità ed efficacia nella comunicazione istituzionale online. Sono numerosi anche gli adempimenti normativi che le PA devono eseguire e che influenzano quindi la struttura, il design e l’organizzazione dei contenuti web. In generale tutte le regioni offrono contenuti e servizi informativi abbastanza completo rispetto all’intero spettro dei compiti istituzionali svolti, ma viene rilevato comunque tra nord, centro e sud per il livello di sofisticazione e interattività dei servizi. L’adozione di contenuti multimediali e di servizi informativi asincroni e push, come forum e newsletter, è diffusa ma, come mette in evidenza il rapporto, si tratta esclusivamente di una comunicazione broadcasting, uno a molti, quasi inesistenti le iniziative di e-partecipation abilitate dal web 2.0lasciate all’iniziativa di poche regioni innovatrici. In questo complesso scenario si inseriscono le “Linee guida per i siti web della PA” approvate nel 2010 in attuazione dei contenuti di una direttiva ministeriale per migliorare la qualità dei servizi e delle info online ai cittadini e imprese. Hanno l’obiettivo di suggerire e indicare criteri e strumenti utili alla razionalizzazione dei contenuti online (aggiornati). Una parte centrale è dedicata alla trasparenza e alla partecipazione attiva dei cittadini, che dipendono da alcune regole procedurali e dal coinvolgimento dei cittadini. Il documento, inoltre, affronta modalità e step necessari per l’iscrizione al dominio “.gov.it” che garantisce la natura pubblica dell’informazione e l’appartenenza di un sito alla PA. Inoltre, riporta la definizione di indicatori per la customer satisfaction online, e l’indicazione di una mappa di contenuti minimi che per legge i siti istituzionali devono includere. Ancora, per coordinare i contenuti digitali, si afferma l’importanza di definire la figura specifica del Responsabile del procedimento di pubblicazione (RPP) che assume la responsabilità dei processi redazionali delle amministrazioni sul web. Infine, si fa riferimento all’importanza delle piattaforme interattive 2.0 per la partecipazione attiva, anche grazie all’utilizzo dei social network (il documento però non rende obbligatorio l’uso di queste piattaforme). I social media nel documento sono considerati canali broadcasting piuttosto che bidirezionali. CAP 4. WELCOME TO THE SOCIAL MEDIA: COME CAMBIANO LE AMMINISTRAZIONI E LA COMUNICAZIONE PUBBLICA

L’evoluzione sociale della rete con le tecnologie partecipative del web 2.0 ha ridefinito i ruoli di emittente e ricevente della comunicazione, da utente e lettore consumer di informazioni, ad un navigatore prosumer, attivo nella creazione di contenuti che vengono condivisi con gli utenti. Quello che sta cambiando è il senso della posizione nella comunicazione. Il paradigma comunicativo è cambiato. Non siamo più solo oggetto di comunicazione ma soggetto di questa. Le piattaforme 2.0 sviluppano comunità virtuali e rispondono al bisogno di costruire nuove forme sociali, incentrate su nuove prossimità semantiche e interessi specifici piuttosto che su legami territoriali. Si ha la nascita di quella che Castells definisce la mass self communication , una nuova forma di comunicazione socializzata che assume 3 caratteristiche: a) di massa in quanto è in grado di raggiungere tutta la popolazione tramite internet e le reti peer to peer b) è multimodale perché consente la riformattazione, riallocazione e distribuzione dei contenuti c) è autonoma a livello di generazione dei contenuti Queste forme di comunicazione caratterizzano sempre di più la network society e si vanno a connettere con i flussi prodotti dai media mainstream, in cui si combinano forme di comunicazione orizzontale e verticale. Sembra comunque ancora prevalera una partecipation inequality (dati aggiornatissimi di Nielsen 2006). Li e Bernoff (2009) hanno individuato una scala sulla quale collocare gli utilizzatori di piattaforme, distinguendoli in; inattivi, spettatori e joiners, collectors (rss feed), critics e creators. Il percorso di maturazione alla partecipazione dipende anche dall’interesse e dal coinvolgimento cognitivo dei cittadini su specifichi temi ed issue (da reader a leader). 4.1 I media sociali: definizioni, contesti e applicazioni Generalmente si tende a racchiudere le applicazioni del web 2.0 sotto il termine “social media”, concetto che trova affermazione nello sviluppo di internet, nella convergenza dei media resa possibile dalla digitalizzazione e dalla conseguente evoluzione dei comportamenti sociali dei cittadini. Secondo Accoto e Mandelli (2010) la definizione di social media oscilla tra due dimensioni: prospettiva tecno-centrica (funzionalità informatiche) e prospettiva neo-mediologica (pratiche ed esperienze mediali delle tecnologie abilitanti). Kaplan e Heanlein (2010) affermano che il termine racchiude numerose applicazioni e piattaforme, in particolare di 6 tipi, incrociando dimensioni legate alla teoria della media research e dei social process: -collaborative projects (wikipedia) -blog -content communities (youtube, flickr) -social networking sites (facebook, linkedin etc) -social game worlds (Word of Warcraft) -virtual social worlds (second life) Al di là degli aspetti tecnologici, quello che caratterizza i media sociali è proprio la loro flessibilità nel soddisfare i bisogni e le capacità sociali dei cittadini. Essi comportano una forte componente di relazione e la partecipazione attiva degli utenti, sia nella creazione di contenuti, sia nelle attività di remix e mashup associate a pratiche di manipolazione dei contenuti prodotti da altre. Secondo Miani (2008) i media sociali condividono alcune caratteristiche: a) favoriscono la creazione di legami fra gli utenti b) sono altamente decentralizzate c) il loro funzionamento si basa su norme sociali emergenti d) sono estremamente flessibili Rheingold (2008) li definisce partecipation media (blog, wiki, podcast, mashup) che condividono 3 caratteristiche interrelate fra loro:

  • I media many to many rendono possibile a qualsiasi persona diffondere o ricevere materiale. L’asimmetria tra mittente e audiance è cambiata radicalmente) questa è una caratteristica tecnico-strutturale)
  • i media partecipativi sono media sociali il cui valore deriva dall’attiva partecipazione di molte persone. Ilvalore deriva non solo dalle dimensioni dell’audience ma dal potere di connettersi tra di loro per formare un pubblico o anche un mercato (questa è una caratteristica psicologica-sociale)
  • i siti socialnetwork, quando amplificati dai network informativi e comunicativi, consentono un coordinamento di attività più ampio e veloce e a minor costo (caratteristica economica e politica)

diverse piattaforme esterne. Social media platform Blog Diario in cui nuove voci appaiono e si posizionano sopra a quelle vecchie consentendo agli utenti di controllare l’impatto dei loro scritti. La maggior parte dei blog sono interattivi. Utilizzando i blog, le amministrazioni possono raccogliere pareri preziosi dalle diverse parti interessate. Potrebbero essere anche un valido strumento per rilevare in anticipo issue sociali e per ottenere idee per nuovi servizi e iniziative. Wiki Rete che consente agli utenti di condividere e classificare le conoscenze su un argomento generico o specifico e di correggerne il contenuto in tempo reale. Sono dedicati alla conoscenza e possono essere dedicati ad una pluralità di scopi. Per es per diffondere il patrimonio della città con la collaborazione dei cittadini. Un governo locale può trovare utile un wiki per avviare un dialogo sulla responsabilità sociale o su altri progetti. Sotto determinate condizioni, i wiki sono considerati utili per migliorare i rapporti con i dipendenti. Social network sites Piattaforme che consentono agli utenti di stare in contatto con un certo numero di amici, amministrare le proprie comunità online e condividere file, foto, testi e notizie e dare un punteggio ai diversi contenuti Queste piattaforme possono essere considerate la nuova generazione del sito ufficiale, incorporando al loro interno le comunità, le loro opinioni, i contenuti e i più sofisticati strumenti per la distribuzione e l’analisi di tutte queste informazioni. Le resistenze rilevate a questi strumenti sono principalmente interne e di tipo culturale; innanzitutto la resistenza della PA ad avviare processi di trasparenza e partecipazione, seguita dalla scarsa consapevolezza del valore di questi strumenti, e da sistemi di divieti e controllo interni. Occorre/va lavorare su un percorso di formazione che aiuti a comprenderne le opportunità. 4.2.1 Quale social media mix per la comunicazione delle amministrazioni pubbliche? Alcune amministrazioni hanno creato specifiche piattaforme indipendenti all’interno dei siti della PA, mentre altre hanno deciso di colonizzare gli spazi e le piattaforme del web sociale. È il caso dell’apertura di canali istituzionali su youtube, di fanpage e gruppi facebook etc, che estendono le potenzialità della comunicazione autoprodotta. L’interesse di amministratori e vertici politici è prevalentemente sulla piattaforma facebook, in cui è possibile essere presenti sotto diverse modalità (profilo personale, gruppi chiusi o aperti, fanpage). Ad oggi (?) il modello prevalente di sviluppo è quello della likepage (fanpage) per le aziende. Le fanpage rispetto alla prima release sono state arricchite, è stato creato un modello di gestione business collegato a profilazione e raccolta pubblicitaria. Questo ha avuto ricadute per la PA non solo da un punto di vista tecnologico ma anche sottoforma di modalità di relazione e partecipazione. Twitter, più usato all’estero che in Italia, viene generalmente gestito dagli uffici stampa e dai protavoci delle amministrazioni (dove ci sono limiti del testo entra in gioco anche una sorta di competenza comunicativa che si presta ad una gestione di tipo professionale) per lanciare press release e stare in contatto con gli altri operatori del mondo dell’informazione, oltre che con i cittadini. Anche i maistream media hanno ceduto al fascino dei social network, sempre più usati come fonti per confermare notizie e crearle e ottenere materiale multimediale in tempi record. 4.3. Be my friend: perché le amministrazioni pubbliche scelgono i social network sites Abbiamo assistito ad un proliferare delle amministrazioni che colonizzano gli spazi sociali dei web, anche in seguito all’eco fornito dai mass media, sulla scia del cd. “effetto Obama”. Difronte ad una scarsa efficacia delle tradizionali forme di comunicazioni istituzionali, i SCS sono stati percepiti in Italia come utili scorciatoie per recuperare un dialogo con i cittadini, in particolare con le fasce più giovani. Alcuni ritengo che possano rappresentare un mezzo per favorire la trasparenza, migliorare i servizi e recuperare forme di relazione con i cittadini, e dare vita a pratiche partecipative di civic engagment. Altri ritengono che si tratti di spazi poco istituzionali, anche perché di proprietà privata e che le principali attività svolta siano solo forme di voyeurismo

sociale e di passatempo civico che cercano di sfruttare gli utenti per trovare idee e soluzioni gratuite ai problemi delle organizzazioni. Il tema social media – PA sta riscuotendo un crescente interesse, siamo di fronte ad una richiesta per usa fase di trasparenza dell’apertura della PA, dove i cittadini possano avere un ruolo attivo nel proporre i servizi, richiedendo nuove forme di coinvolgimento. Secondariamente, ricerche rivelano l’importanza dei social media nei consumi mediali con pattern per la ricerca delle informazioni legate alle istituzioni pubbliche e alle sue issue civiche nel web sociale. E poi il fenomeno del media coverage, cioè i media che hanno settato la propria agenda sui SNS. Si è quindi creato un clima di opinione, stimolato dagli organi dell’informazione, che ha accelerato il processo di adozione dei social media nelle PA. Secondo Merghel e Bratscheinder (2013) il processo di domesticazione dei media sociali della PA, segue un modello a 3 stadi, che richiama il modello di adozione delle innovazioni tecnologiche nel settore pubblico. 1)intraprendenza e sperimentazione 2)ordine dal caos 3)istituzionalizzazione, dove il top managment decide di rimuovere le sperimentazioni individuali e definisce un set di regole, generalmente postate sul sito web o sui social, per rendere trasparente ed efficace la comunicazione tra PA e cittadini attraverso i social media. 4.4. Social media e PA: quali usi per queste piattaforme? I motivi per i quali i social media sono stati adottati dalla PA hanno finalità che non sono in alternativa tra loro ma spesso si riscontrano simultaneamente. I motivi sono: a) Favorire e aumentare la trasparenza b) Attivare la partecipazione e simulare il citizen sourcing: processo di attivazione e mobilitazione dell’intelligenza collettiva dei cittadini, finalizzata a migliorare i servizi pubblici e i rapporti con le amministrazioni c) Favorire la comunicazione interna e la gestione del personale d) Crisis managment e gestione delle emergenze: sono mezzi che possono essere utilizzati con facilità e velocità in eventi legati a crisi del territorio etc. Sono piattaforme che si prestano a diffondere tempestivamente informazioni e aggregarle attraverso retweet e l’uso di ashtags. Chiaramente la gestione dei flussi comunicativi richiede una grande organizzazione e coordinamento attraverso dei social media team che pianificano le azioni. Resta centrale il ruolo del cittadino che segnala, che deve a vere allo stesso tempo, esprimendosi su queste questioni, fiducia nel comune e nella sua capacità di affrontare i problemi. e) Migliorare i flussi informatici e la comunicazione dei cittadini: i social media consentono anche la condivisione e l’azione tramite i commenti e i post, quindi attiva flussi bidirezionali. L’informazione si propaga in un gioco di rimandi che conferisce molta visibilità alle azioni dell’ente pubblico. Infine, numerose amministrazioni usano i social media anche per intrattenere rapporti con i mass media, postandoci comunicati stampa etc. f) Ascolto e citizen satisfaction: sono visti come ambienti strategici per le attività di ascolto e di raccolta di feedback. Ci sono strumenti di ascolto e di analisi per web reputation, sentiment analysis , media online, opinioni e idee dei cittadini etc. Quindi social media come strumenti di ascolto ma anche come utili device per monitorare la percezione dei cittadini rispetto ai servizi pubblici. Poi ci sono altre modalità di impiego di piattaforme come il live streaming di eventi o l’attività di city branding, i contenuti possono essere curati e arricchiti con strategie di engagement. 4.5. Le orme della PA sui social media: cosa ci dicono le ricerche Vari studi di monitoraggio sulla presenza della PA sui social media. Il social media più usato è Facebook, seguito da Youtube e Twitter. Gli obiettivi principali della presenza sono: aumento dell’interazione con i cittadini, possibilità di raggiungere target giovani, miglioramento della tempestività della comunicazione con i cittadini. Si riducono anche i costi della comunicazione. Si evidenzia poca integrazione e coordinazione con il sito istituzionale e gli altri social. Anche gli indicatori di performance per valutare l’efficacia degli investimenti sono scarsamente utilizzati, e in più a volte manca una visione strategica e quindi non si aggiungono contenuti, anche per mancanza di personale qualificato che lo gestisca. Si parla poi di Twitter; essere presente significa creare flussi di comunicazione bidirezionale con i cittadini ma si può utilizzare anche come canale esclusivamente broadcasting, senza quindi utilizzare funzionalità di interazione e condivisione, come i retweet o mention. Tutte queste ricerche evidenziano che le PA si affacciano ai social media sempre di più ma permangono ancora vuoti istituzionali, usi amatoriali e scarsa consapevolezza delle caratteristiche bidirezionali e di networking delle piattaforme.

4.6.3. Essere o non essere social? Controcircuiti comunicativi della PA nel web sociale Anche se le amministrazioni non sono presenti sui media sociali con spazi autogestiti, queste diventano oggetto di discussione, cioè il contenuto della discussione è eteroprodotta. Spesso le conversazioni della rete avvengono senza che l’oggetto di discussione sia presente nello spazio. I profili istituzionali falsi potrebbero portare a possibili forme di manipolazione. Ma scegliere di rimanere fuori dal web potrebbe essere ancora più problematico. La reputazione della PA viene veicolata su blog e social network e occorre che la PA investa risorse per attività di monitoraggio e cyberscanning. CAP.V NETWORKED CITIZENS: LA VOCE AI CITTADINI CONNESSI Con i social network è aumentata la nostra capacità di condividere e di cooperare l’uno con l’altro, di intraprendere azioni collettive, spesso al di fuori del contesto delle tradizionali istituzioni e organizzazioni. Si tratta quindi di un trend all’interno del quale le persone cercano di ottenere quello di cui hanno bisogno l’un l’altra, piuttosto che di rivolgersi alle tradizionali istituzioni e aziende. Questo fenomeno cambia il nostro modo di relazionarci con le organizzazioni, gli attori sociali e politici e con l’intero ecosistema dell’informazione. Alcune idee si diffondono dall’alto al basso, partono dai media commerciali e vengono adottate e fatte proprie da diversi pubblici. Altre idee emergono dal basso ed entrano negli spazi più commerciali. Il potere dei media grassroots (prodotti dal basso, grazie ai contenuti generati dagli utenti) sta nella diversificazione, quello dei media broadcasting nell’amplificazione. Dovremmo occuparci della loro interazione, cioè del potenziale partecipativo che rappresenta la più grande opportunità per la multiculturalità. La partecipazione e il mediattivismo civico si riversano in tutte quelle forme singole e collettive con le quali i cittadini sono presenti in rete e sono produttori di informazioni di interesse generale. L’ingresso attivo nel mondo della comunicazione di singole istituzioni, gruppi e singoli cittadini ha portato profondi cambiamenti nelle dinamiche di costruzione pubblica, le voci presenti sono tante e contrapposte e questo porta da un lato all’allargamento dello spazio pubblico e all’allargarsi di sfere pubbliche connesse, ma dall’altro ad una maggiore opacità. Il cittadino chiede sempre più trasparenza e competenze comunicative, sia alle istituzioni pubbliche che al mondo dei media. Cosa succede quando i messaggi di interesse generale prodotti dai cittadini entrano nel cyberspazio incontrando la comunicazione dell’istituzione pubblica? Può accadere che i cittadini affrontino procedimenti e temi che le amministrazioni non avevano reso disponibili in rete, dando origine al fenomeno dell’accessibilità indotta della PA, oppure può succedere che questi flussi informativi siano differenti, creando distonia comunicativa, e infine può presentarsi il caso in cui l’attenzione dei cittadini nel cyberspazio fa nascere l’interesse attorno ad issue pubbliche dimenticate, rimaste sottotraccia dai media mainstream. Poi si parla della significatività del citizen journalism, giornalismo partecipativo, che fa perdere ai media il monopolio sul diritto dell’informazione e sulla relazione con i cittadini. Ogni cittadino può farsi media (media outlet). In un contesto di ibridazione tra media e tecnologia, tendono ad ibridarsi anche pubblico e privato, innescando una leisson tra la pubblicizzazione del privato e la privatizzazione della sfera pubblica. Sempre più cittadini utilizzano le tecnologie di rete per interagire con le istituzioni pubbliche. + studio di Smith (2010) che analizza quei cittadini che utilizzano i media non solo per i processi di information seeking ma anche per la produzione di contenuti, dibattendo online sui problemi civici. Si tratta di quelli che la ricerca definisce “ online governament partecipators ” cioè quelli che partecipano e contribuiscono ad attivare le attività di interesse generale. La ricerca mette in evidenza come, nonostante i cittadini sembrano attivarsi in maniera ancora limitate sulle piattaforme istituzionali, siano in realtà molto coinvolte nella discussione online riguardanti temi pubblici. Queste discussioni avvengono di piattaforme differenti, blog, profili privati etc. 5.1. Media sociali e prove di engagment: come cambia il rapporto tra amministrazione e cittadini I comportamenti descritti nel paragrafo precedente si collegano alle attività dei cittadini attivi, ovvero quelli che manifestano un elevato grado di sensibilità verso la vita civica e le istituzioni, superando la soglia di cittadinanza normale e in certi momenti si interessano e si prendono cura di determinati beni comuni. Queste attivazione dei cittadini, sia per volontà autonoma che per spinte di attori istituzionali, giungono a decisioni condivise e partecipate che riguardano l’interesse collettivo di una certa comunità. Si parla in particolar modo di processi inclusivi e delle procedure deliberative partecipate. C’è quindi un valore strategico della comunicazione pubblica per stimolare la partecipazione e l’attivismo dei cittadini. Moro, con il termine cittadinanza attiva, si riferisce alla capacità dei cittadini di organizzarsi in modo multiforme, di mobilitare risorse (umane, tecniche finanziarie), agire nelle politiche pubbliche, tutelare i diritti e prendersi cura dei beni comuni, esercitando a tal fine potere e responsabilità. Spesso è proprio questo prendersi cura l’obiettivo

dell’attivazione dei cittadini. Si tratta di forme di mobilitazione che tendono a manifestarsi spontaneamente nelle città e che spesso nascono in contrasto con le istituzioni percepite come inefficienti. Per attivarsi però, i cittadini hanno bisogno di sviluppare una conoscenza delle issue civiche, altrimenti ci si conforma al clima generale di opinione di popolazione e media. L’attivismo dei cittadini coinvolge sempre di più l’ambito mediale e le pratiche in rete, le attività online sembrano avere qualità ascrivibili alle forme di civic engagement , dove i social non agiscono solo come facilitatori dei rapporti sociali ma sono molto utili a promuovere un empowerment soggettivo in senso civico. Il civic engagement assume varie forme di impegno sociale, dal volontarismo individuale fino alla partecipazione elettorale, dagli sforzi per sollevare l’attenzione su un problema civico/sociale all’interagire con le istituzioni tramite forme di rappresentatività democratica. Quindi presuppone un’azione volontaria, scelta e coinvolgimento di altre persone. Alcune di queste forme di coinvolgimento si collocano all’interno del cognitiv engagement , cioè l’impegno cognitivo che gli individui attivano per essere informati sui pubblic affaires. Altre forme di civic engagment sono quelle tramite le quali i cittadini fanno sentire pubblicamente la propria voce. In questo contesto, un concetto chiave è quello di public voice : indica le modalità attraverso le quali i cittadini danno espressione alle proprie opinioni sulle issue pubbliche. La voice è proprio l’espressione dello stile unico di espressione personale, che distingue la comunicazione di un individuo da quella degli altri. Per poter diventare concreta ed essere ascoltata ha bisogno di visibilità. Quando la voice da privata si diffonde in un contesto pubblico, porta anche alla nascita di nuove forme di partecipazione, innescando legami con pubblici attivi. La public voice si realizza tramite comportamenti attivi di comunicazione, cioè quando i cittadini diventano produttori di comunicazioni di interesse generale che viene condivisa con varie reti con le quali si trovano connessi. In questo senso gli ambienti digitali del web fungono da grandi amplificatori della public voice, perché attivano connessioni comunicative con altri cittadini, istituzioni e sistema dei media. 5.2 Pubblici connessi e spazi digitali: l’emergere dei networked citizens Si afferma nello scenario attuale una nuova tipologia di pubblici, i cd networked pubblics , cioè pubblici in rete o pubblici connessi. Questo concetto fa riferimento ad un insieme di modificazioni e sviluppi in campo sociale, culturale e tecnologico, che hanno accompagnato il crescente legame con i media digitali. Poi ci sono varie definizioni. I pubblici networked sono quelli ristrutturati e riorganizzati dalle attuali tecnologie di rete. Pubblico in questa definizione ha una doppia valenza: come aggettivo si contrappone a privato per indicare una dimensione spaziale costruita anche tramite l’uso delle tecnologie digitali, e come sostantivo una comunità di persone connesso alla rete. Per Boyd i pubblici connessi sono caratterizzati da 4 proprietà: -persistenza -replicabilità (duplicazione degli atti comunicativi fino alla misura in cui può essere difficile distinguere originali e copie -scalabilità (contenuto accessibile a pubblici molto vasti a costi ridotti) -cercabilità Queste proprietà determinano le interazioni tra i pubblici connessi e li caratterizzano rispetto ad altre fasce della popolazione. I networked citizens sono cittadini connessi che in forma singola aggregata sono in grado di utilizzare le tecnologie non solo per reperire informazioni ma anche per produrre contenuti di interesse generale e di pubblica utilità. Usano la rete per far sentire la propria voce e per relazionarsi non solo con il gruppo alla pari ma anche con le istituzioni sul territorio, innestando pratiche di condivisione di conoscenza, scambio conversazionale e mobilitazione civica. Si tratta di cittadini che attraverso la rete attivano meccanismo di produzione identitaria nel momento in cui segnalano pubblicamente la loro partecipazione a specifiche issue civiche e alle istituzioni locali. Spesso queste forme partecipative sono caratterizzate da legami di tipo debole, a testimonianza di quel fenomeno di nomadismo culturale secondo il quale i cittadini fanno scelte identitarie in maniera talvolta incoerente. Allo stesso tempo siamo di fronte a cittadini citizen netwoked nel senso che questi cittadini considerano l’istituzione come un nodo valoriale con il quale attivare connessioni in grado di facilitare la vita civica, nati generalmente da particolari avvenimenti che coinvolgono i cittadini ed ha un carattere di intermittenza, sia se è collettivo sia se no. La propagazione dei contenuti di interesse generale è favorita dalle potenzialità dei media sociali ed avviene tramite la multicanalità. L’attività di pubblicazione dei messaggi prende il nome di civic posting , attraverso il quale i cittadini commentano i propri rapporti con le amministrazioni e rendono visibili online issue civiche, dalle quali hanno avuto notizia tramite le reti di relazione. L’interazione che si crea quando i contenuti sono postati in rete non assume la forma di un semplice dialogo tra cittadini e amministrazione ma costituisce una networked communication che coinvolge i cittadini, istituzioni, tecnici, dipendenti, società civile e massmedia.